Google e gli editori italiani: chi ha vinto e di quanto

Economia
google

Con la decisione dell'Antitrust "è stato aperto uno dei cassetti del motore di ricerca", spiega Oreste Pollicino professore alla Bocconi. Ecco quali sono le implicazioni sul mercato editoriale e su quello pubblicitario

di Gabriele De Palma

La chiusura dell'istruttoria avviata dall'autorità Antitrust (Agcm) su sollecitazione degli editori italiani dei quotidiani (Fieg) per presunto abuso di posizione dominante da parte di Google nell'uso delle news di altri editori e nei contratti pubblicitari sembra aver soddisfatto tutti. Almeno a leggere i comunicati di Fieg e Google Italia diramati immediatamente dopo il comunicato ufficiale dell'Agcm. Per capire come sono andate le cose e cosa cambia per il futuro vale la pena ripercorrere le tappe della vicenda e valersi dei consigli di un esperto in materia di diritti in era digitale.

Prima i fatti: nell'estate 2009 la Fieg sottopone il caso Google News all'autorità presieduta da Antonio Catricalà, che imbastisce un'istruttoria. Il motivo del contendere in questa fase riguarda il comportamento di Google nei confronti di quelle testate informative online che non vogliono essere incluse negli algoritmi del popolare aggregatore di notizie curato dall'azienda di Mountain View. Se è vero che ogni singolo quotidiano online può chiedere di essere estromesso da Google News, così facendo viene escluso anche dall'algoritmo che regola i risultati generici sul motore di ricerca di Google (Google Search).
A marzo del 2010 l'Agcm inserisce nell'istruttoria anche la questione relativa ai termini del contratto che regola i rapporti tra Google, gli inserzionisti pubblicitari che usano il sistema dell'azienda di Brin e Page, AdSense, e i siti su cui compaiono gli advertisement. Oggetto del contendere il misterioso sistema di ripartizione dei ricavi gestito in totale oscurità dal quartier generale di Google in Irlanda. Le quote variano in base a negoziazioni unilaterali (decide Google Ireland) di cui non vengono infornati i clienti (quotidiani e siti che ospitano la pubblicità).

Google, informata delle indagini in corso, ha preso spontaneamente degli 'impegni' (indipendenza tra algoritmi di Google News e di Google Search, e trasparenza sui criteri di revenue sharing su AdSense) che l'Agcm ha accettato rendendoli obbligatori nel provvedimento finale, invitando al contempo il Parlamento a legiferare in materia di proprietà intellettuale, possibilmente confrontandosi con istituzioni internazionali visto che internet è per definizione e architettura un mezzo di comunicazione sovranazionale.

Cosa è cambiato e quali sono le implicazioni del cambiamento lo spiega a Sky.it Oreste Pollicino, professore di diritto dell'informazione alla Bocconi.

“Sia per quel che riguarda i quotidiani che i metodi di AdSense, attori che prima avevano poco controllo si impadroniscono di un ruolo attivo. Gli editori non solo hanno la garanzia che il loro rifiuto a partecipare a Google News non li penalizzerà nelle ricerche sul motore generico, ma hanno anche ottenuto il controllo selettivo dei propri contenuti: possono cioè decidere quali contenuti rendere reperibili dall'aggregatore e quali no”.

La trasparenza di AdSense è un cambiamento importante per il mercato? Si può dire che è stato aperto il cassetto dei segreti di Google?
“È stato aperto uno dei cassetti. E ora gli amministratori dei siti web e gli inserzionisti hanno accesso al libro delle regole che governa AdSense, un passo avanti importante nel mercato della pubblicità sui motori di ricerca”.

Qual è la portata dell'istruttoria? A leggere i comunicati emessi dalle parti in causa sembrerebbe una vittoria per entrambe. È così?
“Il risultato raggiunto dall'istruttoria è a suo modo storico perché Google è stata indotta (sono stati accettati in toto gli impegni presi, nessun provvedimento aggiuntivo, ndr) a modificare i le proprie policies interne come mai era accaduto prima. Da questo punto di vista l'istruttoria è stata più incisiva della condanna del caso Google-Vividown, in quel caso Google era stata punita ma non aveva modificato molto dei suoi regolamenti interni, in questo invece sì. L'Agcm ha riconosciuto inoltre che c'è una discrasia tra il sostenimento dei costi della produzione e lo sfruttamento dei contenuti editoriali online, uno squilibrio tra quanto ricavano gli editori e quanto guadagna internet tout court e in questo senso invita il Parlamento a porre rimedio per rivedere il diritto d'autore”.

Una richiesta non semplice da soddisfare, per un Parlamento in altre faccende affaccendato.
“Non so quando il Parlamento legifererà su questi temi. Comunque il provvedimento è interessante nella misura in cui denota una differenza nell'approccio col legislatore tra Antitrust (Agcm) e il Garante delle comunicazioni (Agcom): l'Antitrust è stata più deferente, lasciando la palla al legislatore; l'Agcom invece lo scorso dicembre in tema di diritto d'autore si è spinta oltre, è stata più 'coraggiosa', si è assunta le parti del legislatore, lasciandogli in realtà poco spazio di manovra e facendogli di fatto redigere un testo già scritto”.

Economia: I più letti

[an error occurred while processing this directive]