Il sole della Sicilia per far rinascere Termini Imerese

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Produrre auto elettriche ricaricandole con l’energia solare. E’ il progetto “Sunny Car” per il salvataggio dello stabilimento Fiat. Il ministro Scajola l’ha definita “una soluzione possibile”, per i promotori è il futuro, ma i sindacati invece tentennano

di Serenella Mattera

Far muovere la Sicilia grazie al sole di cui gode in abbondanza. Renderla un enorme «hub di sviluppo dell’energia solare applicata alla velocità». Insomma, produrre auto elettriche sull’isola e ricaricarle con l’energia creata da una fitta rete di pannelli solari. È un’idea che giace in questi giorni sul tavolo del ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola. Tra le proposte, una decina finora, per il salvataggio dell’area industriale di Termini Imerese, che la Fiat intende chiudere.
La conversione degli stabilimenti alla fabbricazione di auto elettriche, è «una soluzione possibile», ha detto Scajola. «Speriamo che possa essere presto una realtà siciliana», ha auspicato il presidente della Regione, Raffaele Lombardo. E in effetti mai come adesso, nel momento in cui dall’Unione europea sembra provenire una forte spinta allo sviluppo dei motori a emissioni zero, l’idea di produrre in Sicilia vetture senza benzina sembra tutt’altro che velleitaria.

Di più. «È un’idea in grado di portare sviluppo all’isola e renderla non solo la prima infrastruttura europea su larga scala, ma anche un laboratorio privilegiato per la ricerca in questo campo». Parola di Simone Cimino, finanziere agrigentino trapiantato a Milano e capofila, con il fondo di investimento Cape Regione Siciliana (primi sottoscrittori la Regione, con 14,4 milioni di euro, il gruppo Cape, dello stesso Cimino, con 12,7 milioni, e Unicredit, con 10 milioni) del progetto “Sunny Car”, che è stato presentato il 28 gennaio al ministro Scajola.
«L’idea è di introdurre un sistema integrato per la produzione e circolazione di auto elettriche – spiega a Sky.it – E la Sicilia è il luogo ideale dove farlo. Sia perché è un’isola e può quindi imporre più facilmente regole comuni per il trasporto su tutto il suo territorio, sia perché in Europa è la terra che gode di più ore di sole l’anno».

Il progetto prevede la creazione di tre diverse aziende: una per la produzione delle auto, una per la produzione dei sistemi di ricarica delle batterie e una per la costruzione e gestione delle stazioni di ricarica. Essenziali, queste ultime, perché per fare in modo che le macchine elettriche si vendano e possano tranquillamente circolare, si deve superare quella che viene definita “ansia da percorso”, ossia la paura di restare fermi per strada perché non si è riusciti a trovare una stazione di ricarica, ossia l’equivalente di una pompa di benzina.
E allora, perché le cose possano funzionare, se ne dovrebbero costruire 2000 in tutta la Sicilia, stima Cimino. Ciascuna dotata di pannelli solari da cui trarre l’energia. Perché, come segnala l’ultimo rapporto diffuso da Greenpeace, Amici della terra Europa e Trasporti&Ambiente, solo se a far girare i motori è l’energia che arriva da sole, vento e altre fonti pulite, le quattro ruote sono davvero a impatto zero. Se quell’energia continua invece ad arrivare dai combustibili fossili, l’effetto può essere addirittura controproducente: immettere sul mercato un 10% di auto elettriche rispetto al totale, allo stato attuale vorrebbe dire far crescere del 20% il consumo di petrolio e le emissioni di Co2.

Perciò, secondo Cimino, le “Sunny car” sono un’idea vincente. E di certo per lui sarebbero un ottimo affare. Cui è interessata anche l’azienda indiana Reva, specializzata nella produzione di auto elettriche: «Abbiamo avuto l’esclusiva per produrre e distribuire le loro auto in tutto il Mediterraneo. E ci avvarremmo, tra le altre cose, del loro sistema brevettato “fast charge”, per ricaricare velocemente le vetture: il tempo di un caffè e uno sguardo ai giornali».
Ma non è vero, gli chiediamo, che il prezzo delle auto elettriche è ancora molto alto? «Noi lo abbiamo stimato tra i 15 e i 18 mila euro. Ancora un po’ caro. Ma si andrebbe ad abbassare se la produzione avvenisse su scala maggiore».

E questo è il problema più grande. Per realizzare il progetto servono ingenti somme di denaro. In tutto circa 930 milioni di euro: 400 per la produzione delle auto, 130 per lo sviluppo dei sistema di ricarica, 400 per la realizzazione delle 2000 “Solar stations”. I privati sono disposti a investire 170 milioni. Il resto dovrebbe venire da Stato, Regione Sicilia e Unione europea: 760 milioni, non una cifra irrisoria per le tasche dei contribuenti. Ma in effetti a Bruxelles il momento sembra propizio, perché la Spagna, presidente di turno, sta spingendo per l’avvio di una strategia comune per lo sviluppo del mercato delle auto elettriche e Antonio Tajani, commissario all’Industria, ha detto che è questa «una delle grandi sfide da affrontare». Mentre in Italia il governo potrebbe valutare proprio la “Solar car” la soluzione migliore per salvare le sorti di Termini Imerese e il posto di lavoro dei suoi operai, magari facendo partecipare al progetto anche altri investitori privati.

Ma da ambienti sindacali trapela una certa cautela rispetto al progetto di Cimino. Lui stima infatti di creare circa 3000 posti di lavoro, 1400 solo nello stabilimento Fiat. Ma loro, che non sarebbero contrari alla produzione di auto elettriche, mettono in evidenza, tra gli altri, un dato: Termini Imerese si estende su 450 mila metri quadri (circa 170 mila di area coperta), ma Cimino chiede di avere a disposizione 30 mila metri quadri di area coperta e 40 mila metri quadri di area scoperta. I conti, dicono, non tornano.

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