Alitalia, dopo un anno per la salvezza è l’ora del decollo
EconomiaA 12 mesi dalla fusione con Air One e dalla nascita di Cai, la compagnia si prepara ad affrontare la vera sfida: la riconquista di fette di mercato dopo aver ridimensionato flotta e organici e conti in utile nonostante il costo del petrolio in salita
di Cristina Bassi
Se il 2009 è stato l’anno della salvezza, il 2010 sarà quello decisivo per il vero decollo. I primi 12 mesi della nuova Alitalia hanno convinto più di uno scettico, ma la zavorra del passato è pesante e molti sono gli interrogativi sul futuro. Riassume l’amministratore delegato, Rocco Sabelli: “Penso che chiuderemo il quarto trimestre in maniera accettabile, come tutto l’anno. Ma il 2010 si annuncia veramente difficile: se quest’anno non è stata una passeggiata, il prossimo, con il costo del petrolio in salita, sarà un’arrampicata”.
Dall’operazione “Fenice”, quella della cordata guidata da Roberto Colaninno per far risorgere la compagnia di bandiera dopo un fallito tentativo di acquisto da parte del colosso Air France-Klm, il 26 agosto 2008 è nata una società completamente nuova chiamata Alitalia-Cai (Compagnia aerea italiana). Il Tribunale di Roma ha dichiarato il fallimento della vecchia s.p.a e il 26 gennaio 2009 le sue azioni sono scomparse dai listini di Borsa. Lo statuto prevede che Alitalia ricompaia a Piazza Affari non prima di tre anni. Per decreto del governo è inoltre stabilito che il business Cai sia protetto per tre anni dagli interventi dell’Antitrust. Significa che nessuno potrà fare le pulci alla compagnia se creerà problemi sul fronte della libera concorrenza.
Un altro vincolo statutario vieta ai soci di cedere la propria fetta di azioni a qualcuno che non sia tra gli attuali soci italiani almeno fino al 2013, a meno che la quotazione in Borsa non avvenga prima di questa data. La cordata Cai, di cui fanno parte con quote tra l’11 e il 7 per cento il Gruppo Riva, Benetton, Intesa San Paolo e Colaninno tramite Immsi, ha versato 1,1 miliardi di euro per la ricapitalizzazione e possiede oggi il 75 per cento della società. Il restante 25 per cento è stato acquistato per 323 milioni da Air-France-Klm, che ha diritto a tre membri su 19 nel cda (uno è Jean-Cyril Spinetta, presidente del vettore franco-olandese) e due su nove nel comitato esecutivo. Ecco perché la cordata ha smesso a un certo punto di chiamarsi “patriottica”. Nel consiglio di amministrazione siedono tra gli altri Roberto Colaninno, presidente, Rocco Sabelli, amministratore delegato, Gaetano Miccichè, fratello di Gianfranco e artefice del dossier Cai per conto di Intesa, Francesco Caltagirone e Marco Tronchetti Provera.
Ma il Tesoro, azionista di maggioranza della vecchia Alitalia con il 49,9 per cento, non ha ceduto a Colaninno e soci tutto il pacchetto. Quello che è rimasto fuori, beni immobili, alcuni aerei, collezioni d’arte, l’area Cargo e i dipendenti cassintegrati, è confluito nella cosiddetta “bad company”, affidata al commissario straordinario Augusto Fantozzi che ha il compito di liquidarla. Alla vigilia della dichiarazione di insolvenza il debito di Alitalia ammontava a 1,172 miliardi di euro e molti creditori dovevano essere pagati. Anche per questo lo Stato, cioè i contribuenti, non ha molte possibilità di recuperare i 300 milioni di euro del prestito ponte. Sono rimaste al commissario anche Atitech e Ams, società che si occupano della manutenzione pesante degli aerei e di quella dei motori. La nuova Alitalia continua ad affidare loro le commesse, come previsto dai cosiddetti “accordi di Palazzo Chigi”, e nel caso di Atitech, che Fantozzi ha ceduto a Meridie investimenti, è anche entrata nel capitale con il 15 per cento. Per quanto riguarda Ams, il cui 40 per cento appartiene a Lufthansa, la vendita non è ancora avvenuta.
Dal punto di vista finanziario il 2009 è stato un anno tutto sommato positivo. Il primo trimestre si è chiuso in forte perdita, a meno 210 milioni di euro, con gli aerei quasi vuoti e nessuna dote di prenotazioni. I secondi tre mesi hanno fatto registrare un meno 63 milioni, mentre il periodo luglio-settembre ha chiuso con un più 15 milioni. Le previsioni per il secondo semestre parlano di un sostanziale pareggio. Un buon risultato, fanno notare da Cai, considerata la forte crisi del settore. Il 2009 infatti è stato pessimo: contrazione del mercato del 30 per cento rispetto al 2008 e perdite per le compagnie che a settembre arrivavano a 11 miliardi di dollari (dati Iata-International air transport association), mentre secondo la Aea (Association of european airlines), nei 12 mesi appena trascorsi il prezzo dei biglietti è sceso del 15 per cento, con gravi danni sulle finanze dei vettori.
Le dimensioni e la forza della nuova compagnia invece restano al di sotto degli standard della vecchia prima del crac. I tagli non hanno riguardato solo il personale, ridotto all’osso, ma anche la flotta e le rotte. All’inizio del 2008 i piloti erano circa 2.100, cui vanno aggiunti i 400 di Air One. Oggi sono rimasti in 1.600 (dati Anpac), la differenza è costituita dai piloti in cassintegrazione (poco meno di 850) e qualche decina di professionisti che sono andati a lavorare per altri vettori in Italia o all’estero. Ridimensionata anche la rete. Nell’estate del 2008 le destinazioni raggiunte erano 83 su 134 rotte, ancora più alti i numeri del 2007. Un anno fa la nuova compagnia è partita con una rete ridotta del 30 per cento rispetto alla vecchia. Nei mesi successivi è tornata a espandersi e oggi le destinazioni in Italia e nel mondo sono 73 (24 nazionali, 49 tra internazionali e intercontinentali), con 2.249 frequenze settimanali su 131 rotte e sei basi a Torino, Milano, Venezia, Roma, Napoli e Catania. Sacrificato anche il “ferro”, cioè la flotta. Nei primi mesi del 2008 volavano 178 aerei, 22 sul lungo raggio e 156 sul medio, tra cui 75 vetusti Md80. Attualmente i velivoli targati Cai sono 149, entro il 2013 sono previsti 75 nuovi arrivi, anche per il lungo raggio. Per gli aerei più vecchi è programmata inoltre la sostituzione di tutte le poltrone. Infine la gestione: anche i sindacati ammettono in parte che il management privato ha messo un freno a sprechi e assunzioni immotivate.
Le sfide del prossimo anno andranno in due direzioni strategiche. Da una parte il contrasto alle compagnie low cost sul loro terreno, dall’altra la conquista di una buona fetta di passeggeri business. Ma perché Alitalia sia competitiva di fronte a colossi come Air France e British Airways potrebbe non bastare. E potrebbe essere proprio la compagnia francese, che nonostante un rosso di 200 milioni di euro è leader mondiale e ha una rete globale, a inghiottire definitivamente quella italiana per mettere le mani sul mercato del Sud Europa. “L’operazione Cai ha avuto una regia politica, perché la società conservasse un facciata ‘italiana’ – analizza un osservatore privilegiato –, ma l’obiettivo della nuova gestione sembra essere quello di contenere i costi, risanare i bilanci e fare utili. Per poi vendere senza rimetterci i soldi investiti”. Fanta-economia? Per dirlo occorre aspettare almeno i quattro anni previsti dal piano, ma se Alitalia diventerà francese i soci della cordata “ex patriottica” faranno di tutto per non perderci.
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Se il 2009 è stato l’anno della salvezza, il 2010 sarà quello decisivo per il vero decollo. I primi 12 mesi della nuova Alitalia hanno convinto più di uno scettico, ma la zavorra del passato è pesante e molti sono gli interrogativi sul futuro. Riassume l’amministratore delegato, Rocco Sabelli: “Penso che chiuderemo il quarto trimestre in maniera accettabile, come tutto l’anno. Ma il 2010 si annuncia veramente difficile: se quest’anno non è stata una passeggiata, il prossimo, con il costo del petrolio in salita, sarà un’arrampicata”.
Dall’operazione “Fenice”, quella della cordata guidata da Roberto Colaninno per far risorgere la compagnia di bandiera dopo un fallito tentativo di acquisto da parte del colosso Air France-Klm, il 26 agosto 2008 è nata una società completamente nuova chiamata Alitalia-Cai (Compagnia aerea italiana). Il Tribunale di Roma ha dichiarato il fallimento della vecchia s.p.a e il 26 gennaio 2009 le sue azioni sono scomparse dai listini di Borsa. Lo statuto prevede che Alitalia ricompaia a Piazza Affari non prima di tre anni. Per decreto del governo è inoltre stabilito che il business Cai sia protetto per tre anni dagli interventi dell’Antitrust. Significa che nessuno potrà fare le pulci alla compagnia se creerà problemi sul fronte della libera concorrenza.
Un altro vincolo statutario vieta ai soci di cedere la propria fetta di azioni a qualcuno che non sia tra gli attuali soci italiani almeno fino al 2013, a meno che la quotazione in Borsa non avvenga prima di questa data. La cordata Cai, di cui fanno parte con quote tra l’11 e il 7 per cento il Gruppo Riva, Benetton, Intesa San Paolo e Colaninno tramite Immsi, ha versato 1,1 miliardi di euro per la ricapitalizzazione e possiede oggi il 75 per cento della società. Il restante 25 per cento è stato acquistato per 323 milioni da Air-France-Klm, che ha diritto a tre membri su 19 nel cda (uno è Jean-Cyril Spinetta, presidente del vettore franco-olandese) e due su nove nel comitato esecutivo. Ecco perché la cordata ha smesso a un certo punto di chiamarsi “patriottica”. Nel consiglio di amministrazione siedono tra gli altri Roberto Colaninno, presidente, Rocco Sabelli, amministratore delegato, Gaetano Miccichè, fratello di Gianfranco e artefice del dossier Cai per conto di Intesa, Francesco Caltagirone e Marco Tronchetti Provera.
Ma il Tesoro, azionista di maggioranza della vecchia Alitalia con il 49,9 per cento, non ha ceduto a Colaninno e soci tutto il pacchetto. Quello che è rimasto fuori, beni immobili, alcuni aerei, collezioni d’arte, l’area Cargo e i dipendenti cassintegrati, è confluito nella cosiddetta “bad company”, affidata al commissario straordinario Augusto Fantozzi che ha il compito di liquidarla. Alla vigilia della dichiarazione di insolvenza il debito di Alitalia ammontava a 1,172 miliardi di euro e molti creditori dovevano essere pagati. Anche per questo lo Stato, cioè i contribuenti, non ha molte possibilità di recuperare i 300 milioni di euro del prestito ponte. Sono rimaste al commissario anche Atitech e Ams, società che si occupano della manutenzione pesante degli aerei e di quella dei motori. La nuova Alitalia continua ad affidare loro le commesse, come previsto dai cosiddetti “accordi di Palazzo Chigi”, e nel caso di Atitech, che Fantozzi ha ceduto a Meridie investimenti, è anche entrata nel capitale con il 15 per cento. Per quanto riguarda Ams, il cui 40 per cento appartiene a Lufthansa, la vendita non è ancora avvenuta.
Dal punto di vista finanziario il 2009 è stato un anno tutto sommato positivo. Il primo trimestre si è chiuso in forte perdita, a meno 210 milioni di euro, con gli aerei quasi vuoti e nessuna dote di prenotazioni. I secondi tre mesi hanno fatto registrare un meno 63 milioni, mentre il periodo luglio-settembre ha chiuso con un più 15 milioni. Le previsioni per il secondo semestre parlano di un sostanziale pareggio. Un buon risultato, fanno notare da Cai, considerata la forte crisi del settore. Il 2009 infatti è stato pessimo: contrazione del mercato del 30 per cento rispetto al 2008 e perdite per le compagnie che a settembre arrivavano a 11 miliardi di dollari (dati Iata-International air transport association), mentre secondo la Aea (Association of european airlines), nei 12 mesi appena trascorsi il prezzo dei biglietti è sceso del 15 per cento, con gravi danni sulle finanze dei vettori.
Le dimensioni e la forza della nuova compagnia invece restano al di sotto degli standard della vecchia prima del crac. I tagli non hanno riguardato solo il personale, ridotto all’osso, ma anche la flotta e le rotte. All’inizio del 2008 i piloti erano circa 2.100, cui vanno aggiunti i 400 di Air One. Oggi sono rimasti in 1.600 (dati Anpac), la differenza è costituita dai piloti in cassintegrazione (poco meno di 850) e qualche decina di professionisti che sono andati a lavorare per altri vettori in Italia o all’estero. Ridimensionata anche la rete. Nell’estate del 2008 le destinazioni raggiunte erano 83 su 134 rotte, ancora più alti i numeri del 2007. Un anno fa la nuova compagnia è partita con una rete ridotta del 30 per cento rispetto alla vecchia. Nei mesi successivi è tornata a espandersi e oggi le destinazioni in Italia e nel mondo sono 73 (24 nazionali, 49 tra internazionali e intercontinentali), con 2.249 frequenze settimanali su 131 rotte e sei basi a Torino, Milano, Venezia, Roma, Napoli e Catania. Sacrificato anche il “ferro”, cioè la flotta. Nei primi mesi del 2008 volavano 178 aerei, 22 sul lungo raggio e 156 sul medio, tra cui 75 vetusti Md80. Attualmente i velivoli targati Cai sono 149, entro il 2013 sono previsti 75 nuovi arrivi, anche per il lungo raggio. Per gli aerei più vecchi è programmata inoltre la sostituzione di tutte le poltrone. Infine la gestione: anche i sindacati ammettono in parte che il management privato ha messo un freno a sprechi e assunzioni immotivate.
Le sfide del prossimo anno andranno in due direzioni strategiche. Da una parte il contrasto alle compagnie low cost sul loro terreno, dall’altra la conquista di una buona fetta di passeggeri business. Ma perché Alitalia sia competitiva di fronte a colossi come Air France e British Airways potrebbe non bastare. E potrebbe essere proprio la compagnia francese, che nonostante un rosso di 200 milioni di euro è leader mondiale e ha una rete globale, a inghiottire definitivamente quella italiana per mettere le mani sul mercato del Sud Europa. “L’operazione Cai ha avuto una regia politica, perché la società conservasse un facciata ‘italiana’ – analizza un osservatore privilegiato –, ma l’obiettivo della nuova gestione sembra essere quello di contenere i costi, risanare i bilanci e fare utili. Per poi vendere senza rimetterci i soldi investiti”. Fanta-economia? Per dirlo occorre aspettare almeno i quattro anni previsti dal piano, ma se Alitalia diventerà francese i soci della cordata “ex patriottica” faranno di tutto per non perderci.
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