Sanità malata, pediatria di famiglia tra carenza di medici e troppi assistiti

Cronaca
Diletta Giuffrida

Diletta Giuffrida

Secondo le stime di Save the Children in Italia mancano circa 1400 pediatri di libera scelta. In 9 regioni la carenza di personale medico per i più piccoli pesa in modo particolare. Ad essere svantaggiate non sono solo le zone periferiche o ultraperiferiche del nostro Paese, ma anche alcune grandi città – soprattutto al Nord - dove si registrano le sproporzioni più marcate nel rapporto tra pediatri e piccoli pazienti

L’allarme arriva forte e chiaro e le prime a lanciarlo, da Nord a Sud, sono le mamme: “In Italia mancano i pediatri di famiglia per i bambini”. Storie intrecciate di burocrazia, centralini muti, numeri abnormi di pazienti da seguire o peggio di bambini rimasti senza pediatra di libera scelta. E’ successo a Francesca, mamma di una bimba di un anno rimasta per un mese – appena nata - senza la copertura medica di un pediatra di famiglia perché i pediatri di zona avevano già raggiunto tutti il tetto massimo di pazienti da poter seguire; è successo a Filomena, mamma di due bimbe di 8 e 6 anni, rimaste anche loro senza pediatra dopo il pensionamento del loro medico di fiducia, mai sostituito. Nomi e racconti che potrebbero sovrapporsi a centinaia di altri da Bolzano a Palermo. Cosa sta succedendo? A spiegarlo è la professoressa Annamaria Staiano, in 123 anni prima presidente donna della Società Italiana di Pediatria: “Attualmente noi abbiamo un numero di pediatri di libera scelta pari a circa 7500 contro i 5500 pediatri ospedalieri o universitari. Secondo gli ultimi dati di Save the Children mancano circa 1400 pediatri di libera scelta per assicurare quel tetto di 800 assistiti per pediatra che garantisce l'accuratezza della presa in carico e secondo le stime dell’Anaao nel 2025 ne mancheranno circa 3300. Questo compromette maggiormente quelle aree geografiche più disagiate e quei piccoli centri laddove non è possibile assicurare una corretta assistenza pediatrica determinando delle diseguaglianze assistenziali del nostro Paese”.

Fonte: Cittadinanzattiva Progetto AHEAD

Deserti sanitari

Secondo un’analisi recente di Cittadinanzattiva nell’ambito del progetto europeo AHEAD – Action for Health and Equity: Addressing medical desert – e basata su dati del Ministero della Salute relativi al 2020, sono 9 le regioni italiane maggiormente interessate dalla carenza di medici: Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Liguria, Emilia Romagna, Lazio, Calabria. E in queste regioni in particolare sono 39 le provincie dove la sproporzione tra numero di piccoli pazienti e medici è più marcato. Le aree periferiche e ultraperiferiche restano quelle maggiormente svantaggiate, ma non va meglio anche nei centri urbani, anche in quelle aree dove - per venire incontro alle richieste del territorio - è stato innalzato il numero massimo di pazienti per pediatra ben oltre quegli 880 + 120 neonati previsto dall'ultimo accordo collettivo nazionale. La situazione è problematica in tutto il Nord Italia, anche in Piemonte dove abbiamo incontrato il dottor Giuseppe Palena, pediatra di famiglia a Settimo Torinese dal 1984 e segretario regionale Fimp Piemonte. “Oggi ho più di 1500 pazienti pediatrici e le difficoltà sono tante, soprattutto nei periodi di epidemia influenzali e non. Il punto è che i bambini nascono e i pediatri non ci sono, quindi in qualche modo bisogna dare una risposta al territorio” ci spiega il dottor Palena. “Settimo Torinese è una città con 50mila abitanti, quando mi sono inserito qui eravamo 8 pediatri, adesso siamo 4. Tutto non si può spiegare col fatto che sono nati meno bambini, tutto si spiega col fatto che ci sono pochi pediatri ma è così anche in altre città. Ovviamente io non condivido molto il fatto che ci siano pochi pediatri e tanti bambini iscritti a quel pediatra perché è chiaramente un modo di mettere una toppa – precisa il dottor Palena - è una situazione che nemmeno il pediatra vorrebbe, perché per lavorare bene ogni medico dovrebbe avere un numero di bambini che gli permettono di fare un'attività congrua e questo numero si aggira intorno ai 900/1000”. Se è vero dunque che ogni zona vive la propria realtà, sui numeri sono tutti d’accordo. “Non si può reggere un tale carico assistenziale – analizza nel suo complesso la situazione la presidente della Sip -. Se si pensa che il ruolo del pediatra di libera scelta ha avuto un'evoluzione nel tempo - oggi non si limita più solo alla cura del paziente, ma prende in carico tutte le problematiche non solo assistenziali ma anche sociali del bambino - allora la situazione appare ancora più chiara. Basti pensare alle campagne di prevenzione per esempio, oggi la prevenzione è importantissima e per un pediatra fare prevenzione significa di fatto educare la famiglia agli stili di vita”.

Le ragioni della carenza di pediatri

 Una programmazione a medio termine rivelatisi sbagliata insieme a una progressiva migrazione verso la libera professione sono tra le ragioni che hanno portato alla situazione attuale. “Da una parte abbiamo avuto negli ultimi anni un numero elevatissimo di pediatri di libera scelta che è andato in pensione – spiega ancora la professoressa Staiano - dall'altra parte ci sono state politiche non del tutto precise e corrette sulla programmazione del numero dei pediatri con le borse di specializzazione in pediatria. A peggiorare ulteriormente l’attuale situazione poi c’è la netta distinzione tra pediatria territoriale e pediatria ospedaliera. Questa dicotomia organizzativa creata all'inizio degli anni '80 col sistema sanitario nazionale oggi non è più sostenibile perché  così rischiamo la chiusura di strutture ospedaliere essenziali per garantire la presa in carico di pazienti fragili o cronici”. Per sopperire all’attuale carenza di pediatri oltre ad aumentare in alcune regioni il numero massimo di pazienti che ogni medico può prendere in carico, è stata innalzata l'età pensionabile a 72 anni ed è stato aumentato anche il numero delle borse di specializzazione in pediatria che sono passate da 430 nel 2017 a circa 900 nel 2022. Gli effetti di quest'ultimo provvedimento però non si vedranno prima di qualche anno. “La programmazione è importante ma è valida se esistono dati non variabili, allora è possibile fare una previsione statistica futura. Il punto è che noi invece in questo caso non abbiamo dati certi, ci sono troppe variabili, quindi la programmazione non sempre è esatta e lo dimostra la situazione attuale: si parlava di una riduzione del numero di pediatri perché tanto le statistiche dicevano che sarebbero nati sempre meno bambini – cosa che purtroppo è successa – eppure siamo in questa situazione” conclude il dottor Palena.

 

Le terapie intensive e i malati cronici

La situazione della sanità pubblica per i bambini è difficile non solo per la carenza di pediatri. C’è la questione delle terapie intensive pediatriche in alcune regioni italiane del tutto assenti, quella dell’assistenza ai ragazzini 15-18 anni che finiscono spesso in un limbo, quella dei malati cronici. A fare una fotografia della situazione ancora una volta è la professoressa Staiano: “In Italia esistono solo 26 terapie intensive pediatriche con una media di posti letto di 3 su milione di abitanti contro una media europea di 8 posti letto su milione di abitanti, sono numeri che parlano chiaro. Abbiamo 10 milioni di bambini da 0 a 18 anni e il 18% di loro ha una malattia cronica, significa che un milione 800 mila bambini sono fragili e hanno bisogno di essere assistiti da team multidisciplinari, da super specialisti, da professionisti dedicati per la complessità delle patologie da cui sono affetti”. Poi c’è la questione dell’assistenza agli adolescenti, in particolare ai ragazzi di età compresa tra i 15 e i 18 anni. “Noi abbiamo davvero la necessità non solo di aumentare il numero di pediatri, ma di riorganizzare il sistema delle cure pediatriche perchè un pediatra può prendere in cura un bambino fino ai 14 anni, ma l’infanzia finisce a 18 anni. Il risultato è che a 15 anni non hanno più un punto di riferimento proprio in un momento della loro vita molto delicato, proprio il covid ce lo ha insegnato con il boom di disagio mentale o sociale che in molto casi può avere un’esplosione proprio nell'età adolescenziale. Con questa carenza di linee guida succede che gli adolescenti diventano patrimonio di nessuno quando invece avrebbero bisogno di essere seguiti in un certo modo”. “Il sistema delle cure assistenziali pediatriche deve essere rivisto a partire dalla revisione della dicotomia organizzativa territorio/ospedale per poi proseguire su tutti gli altri fronti caldi – conclude la professoressa Staiano – altrimenti noi rischiamo di non garantire più il diritto alla salute al bambino”.

 

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