Tra manosfera e teorie misogine: cosa resta degli uomini?

Nelle battaglie femministe per l’uguaglianza di genere è controverso dare troppo spazio agli uomini. E certo: tanta fatica per iniziare a nominare le discriminazioni, a uscire fuori dall’invisibilità e a esprimere la feroce, legittima rabbia contro la violenza di genere, per poi tornare a dare voce al soggetto sociale attorno a cui è costruito l’intero sistema patriarcale? Eppure, se si guarda ai ragazzi che saranno gli uomini di domani, pensare a loro è necessario se non si vuole perderli nei meandri della manosphere o reclutati dai misogini della rete che insegnano “l’arte del rimorchio” e le teorie incel e della red pill. Secondo il sociologo Manolo Farci, autore del libro Quel che resta degli uomini , che l’8 dicembre sarà alla fiera Più libri più liberi in dialogo con Donata Columbro e Cecilia d’Elia, oltre a decostruire la mascolinità è tempo di pensare a veri e propri modelli alternativi. E bisogna farlo adesso. Nel suo libro lei dedica molte pagine al concetto di “mascolinità”: ma cos'è? Si tratta di un paradigma culturale, di un costrutto sociale, di un’eredità patriarcale? E in che modo questa idea continua oggi a influenzare - o mettere in crisi - l’identità degli uomini, soprattutto dei più giovani? La mascolinità si è andata costruendo come l’uno universale con cui misuriamo il resto, ed è un concetto legato al potere, all’esercizio della violenza e al controllo, ma non solo. Ha una matrice sociale e culturale, non biologica. Ne parlo perché, per quanto viviamo in una società patriarcale, ci troviamo di fronte a cambiamenti che mettono in crisi gli uomini di oggi. Io faccio il sociologo, non il filosofo, non è mio interesse mettere in discussione, nel libro, l’idea del maschile in quanto tale. Mi interessa piuttosto sottolineare che la mascolinità, per le persone, non è solo un tema di potere ma anche un investimento identitario. E se tu dici ai ragazzi soltanto che il maschile è sbagliato non stai facendo un buon servizio educativo ma li stai privando di un ancoraggio identitario molto forte. La sfida è offrire modelli maschili seducenti ma diversi. Dove trovano oggi i modelli più seducenti? Andrew Tate, ad esempio, è il classico modello maschile da non seguire. In Australia e Gran Bretagna esistono programmi di disintossicazione dai suoi contenuti perché oramai su TikTok persino i ragazzini di 12 anni ci possono incappare. Per loro è un modello seducente rispetto a certi “marcatori” della mascolinità: il fisico, l’auto di lusso, lo status sociale. Quindi il mondo digitale è uno degli spazi in cui oggi si costruisce un certo tipo di mascolinità? In parte. Si pensi al fenomeno della manosphere: se ne parla a livello globale grazie alla serie Adolescence, ma in realtà non nasce adesso ma già negli anni Duemila . Sostanzialmente la matrice è quella dei blog maschili in cui gli uomini iniziano a “risvegliarsi”, dal loro punto di vista, contro una società percepita come sempre più ostile a loro. Non è un movimento politico, non è un movimento organizzato, è uno spazio digitale eterogeneo fatto di forum, podcast, community, influencer. Quello che accomuna queste realtà è che ruotano attorno alla mascolinità. Ma qual è la narrativa di fondo? Che gli uomini sono vittime di un sistema ostile che toglie ruolo e valori. Il messaggio per i ragazzi è: “Non sei tu il problema ma è il mondo che ti ha tolto ciò che ti spettava”. La conseguenza più pericolosa? Che diventano spazi di odio nei confronti delle donne. La misoginia è un aspetto fondante di questi spazi. Ecco, da una parte la misoginia esplicita. Dall’altra una misoginia più subdola, che si nasconde dietro “gli artisti del rimorchio” che insegnano che le relazioni sono solo un gioco di potere. È così? Il nucleo centrale da cui nasce la manosphere ha radici negli anni Settanta con i fatutori dei diritti maschili. E poi l’altra colonna idologica sono appunto i pick up artists, “gli artisti del rimorchio”, che in realtà non nascono come un fenomeno della rete perché esistono già dagli anni Novanta, ma sono importanti perché hanno fornito parte del vocabolario da cui nascerà la famosa teoria della red pill. Adottano un linguaggio e una rilettura molto semplicistica della psicologia evolutiva. Sono loro a sviluppare quel linguaggio fatto di “uomini alpha”, “donne ipergamiche” [cioè, secondo questi gruppi, donne che privilegiano partner di status sociale superiore, ndr]. La seduzione è un gioco di potere in cui vince chi ha il controllo sull’altro. E la teoria della red pill - che chi non bazzicava la manosphere o gli spazi femministi ha conosciuto grazie al successo della serie Adolescence - è un’ulteriore radicalizzazione di questo tipo di mascolinità? Esatto. La teoria nasce dal testo The rational male di Rollo Tomassi - una delle bibbie della manosphere insieme a Il mito del potere maschile di Warren Pharrell. La red pill è una metafora recuperata da Matrix, hai presente il momento in cui iconico in cui vengono offerte le due pillole: la blu ti avrebbe fatto vivere in un mondo di illusioni e la rossa ti avrebbe risvegliato. Ecco. Ma cosa vuol dire risvegliarsi, per questi uomini? Che la realtà dei rapporti di genere è che la società in cui viviamo è dominata da un imperativo femminile che manipola uomini e donne fin dall’infanzia. Sono le donne in quanto “ipergamiche” a scegliere il maschi più utili alla riproduzione della specie e quindi se vuoi conquistarle devi conquistare un “maschio alpha”, altrimenti non riesci a vincere nel mercato sessuale. L’unica regola è il calcolo: chi ha meno bisogno dell’altro, vince. Oltre che pericolosa non sembra una teoria che punta alla felicità, nemmeno per gli uomini. Non esistono amore, solidarietà, reciprocità, perché ogni cosa viene interpretata come uno strumento di potere. Se ti mostri debole le donne useranno questa debolezza come uno strumento di potere nella relazione e sì, è una teoria non solo pericolosa perché inchioda maschi e femmine a un destino biologico immutabile . Però non è solo questo, il punto è che diventa una vera e propria pedagogia del sospetto. C’è un’idea dell’individuo come un’impresa a sé stante il cui unico obiettivo è massimizzare il profitto e il capitale da investire. Le relazioni sociali sono quindi uno scambio puramente finanziario. È importante parlare della red pill non solo come qualcosa di folkloristico ma per quello che è: un’ideologia totalizzante e molto pericolosa. Adolescence fa capire che non c’è bisogno di essere uno della manosphere, non più, perché la manosphere è ovunque. È diventato il linguaggio mainstream. Cosa resta degli uomini, quindi? E perché nel libro menziona una “crisi della mascolinità”? Gli uomini non stanno scomparendo, né è vero che la mascolinità non è più al centro. E la “crisi della mascolinità” non è un concetto nuovo, ma è stato usato spesso nel corso della storia, tutte le volte che c’erano progressi sociali e civili da parte delle donne. Spostandoci su un altro piano, oggi c’è anche chi si appropria del concetto per strumentalizzarlo. La mascolinità in crisi può significare che va ripristinata e gli che uomini rischiano di diventare vittime di un sistema che sta cambiando: e questa posizione può essere usata per orientare l’agenda politica, come viene fatto negli ambienti conservatori e di destra. Guardando un aspetto positivo, c’è da dire che il problema di come decostruire una certa mascolinità è entrato almeno a far parte del discorso pubblico. Che ne pensa? Oggi il tema della mascolinità è materia di dibattito nelle fasce più giovani della popolazione. Soprattutto dopo tragedia di Giulia Cecchettin, per la prima volta dopo un femminicidio si è iniziato a discutere del problema del maschile. Quindi, più che di una crisi, si può parlare di maggiore consapevolezza. Il maschile sta benissimo. Messa in discussione è la mascolinità “tossica”, “egemonica”. E come si fa a immaginare una società in cui i ragazzi possano fare investimenti identitari migliori che quelli in teorie misogine e sessiste? La destra sembra essere riuscita a usare strumentalmente una narrazione vittimistica di certi uomini e in questo modo avanza la sua agenda conservatrice. La sinistra che fa? Una parte del pensiero progressista degli ultimi anni mi lascia perplesso. Nel libro parlo di Trump, perché è stato bravo a cogliere il discorso vittimistico sulla mascolinità. Se Trump è riuscito a imporsi è anche il risultato di un vuoto lasciato dalla sinistra liberale. È uscito adesso un report in cui si facevano vedere le priorità delle battaglie del liberal americani: quali erano le priorità del loro elettorato? Erano diverse. La sinistra americana dà priorità ai diritti civili, all’inclusione, ma la gente è interessata al welfare, alla sicurezza - ma dirlo a sinistra suona da fascisti. C’è stato uno scollamento tra la base e i rappresentanti politici. Per quanto riguarda la questione maschile i progressisti non hanno riconosciuto il disagio degli uomini bianchi della classe lavoratrici. Ma non dal punto di vista economico: Trump non ha fatto niente per loro si è solo intestato simbolicamente quella battaglia, Biden ha fatto di più. Ma il discorso pubblico progressista si è molto orientato alle battaglie identitarie. Mogli uomini bianchi non istruiti hanno iniziato a sentirsi esclusi. Viene detto loro: “Tu sei un privilegiato”. Ma è proprio nel momento in cui la classe operaia viveva il periodo peggiore della sua storia. La mancanza di riconoscimento di certe questioni che riguardano gli uomini e la classe lavoratrice maschile ha portato tanti uomini a sentirsi tagliati fuori dal discorso pubblico e a guardare con diffidenza alle battaglie progressiste. E il risultato quale è stato secondo lei? Che oggi tanti uomini, anche molto giovani, si allontanano sempre di più dai temi femministi. È una frattura che si sta allargando rispetto al passato. Il discorso conservatore ha saputo intercettare questo bisogno di riconoscimento - non cerchiamo solo benessere economico ma anche riconoscimento. Questo vuol dire che il femminismo deve abbandonare il radicalismo delle idee? No. Secondo me dobbiamo riflettere a partire anche da questo discorso: questo spostamento elettorale degli uomini è un trend globale. I dati ci dimostrano che sempre più ragazzi votano partiti conservatori mentre le ragazze partiti progressisti. È sicuramente una reazione ai cambiamenti della società ma probabilmente anche un limite della sinistra - non si può parlare di questioni degli uomini perché iniziano a pensare che in realtà si è conservatori. Dovremmo superare questo pregiudizio.

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Agnese Ranaldi