Cosa serve alla scuola? Appello alla passione

L’estate sta finendo, il tempo se ne va: incombe settembre e, per molti di noi, studenti o genitori di studenti, incombe l’inizio di un nuovo anno scolastico. Naturalmente, dunque, le parole del ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara al meeting di Rimini si proiettano sul nostro futuro prossimo. Dovrebbero farlo come una luce che promette la possibilità di nuove strade, come una stella polare: e sicuramente il fatto che quasi il cinquanta per cento degli insegnanti di sostegno precari verrà confermato, per garantire una continuità didattica e sentimentale fra i ragazzi e i loro insegnanti, è una buona notizia. Lo è anche la conferma dei mille docenti che verranno assunti per insegnare l’italiano agli stranieri, il fatto che l’ottanta per cento delle cattedre messe a bando verranno coperte a tempo indeterminato e il divieto di portare in classe il cellulare. Dovrebbero esserlo anche, e soprattutto, le affermazioni di Valditara che hanno condito il suo discorso: “Dobbiamo aiutare i giovani a riscoprire l’importanza dell’impegno e della fatica, la centralità del lavoro per valorizzare la persona.” Ancora: “La scuola serve a valorizzare i talenti di ogni giovane e deve mettere al centro la persona”. Vero: sacrosanto. Ma, scendendo dall’ideale al concreto, e al di là dei numeri: che cosa potranno fare, i maestri e i professori, una volta diventati di ruolo, perché le speranze del ministro si realizzino? Nel mio minuscolo, che però può servirci da osservatorio, quando vado nelle scuole per presentare i miei libri, mi ritrovo generalmente in due situazioni. In quella dove a invadermi è la fiducia, incontro classi di ragazze e ragazzi con gli occhi accesi, che hanno lavorato sul libro in questione con i loro insegnanti, si sono preparati disegnando dei cartelloni ispirati alla storia con cui si sono confrontati, recite, in un caso, a Isernia, addirittura un piccolo musical, e che allora, nel momento in cui hanno davanti l’autore del libro su cui tanto hanno riflettuto, con le cui pagine hanno giocato, accavallano le voci, dalla voglia di chiedere, di dire che cosa pensano, che cosa sentono. Dove a invadermi è lo sconforto, invece, incontro classi trascinate nell’aula magna da insegnanti capitanate da un preside che arriva, prende il microfono per dire quanto è importante la cultura e che onore è avere con loro un autore che ha scritto tanti romanzi e ha pure fatto la televisione, e se ne va. Lasciandomi con i ragazzi che si alzano uno per volta, ognuno con una domanda scritta su un foglietto, distratti e scoglionati anche mentre la leggono, indifferenti al fatto che magari, a quella stessa domanda, ho risposto un istante prima a un altro compagno. Alla fine di questo che si rivela uno strazio, per me e per loro, inesorabilmente si alza un insegnante e mi invita a spiegare a quei poveretti perché leggere è importante, perché è importante studiare. Glielo dica, glielo dica, mi incita. E io allora dico che no. Cioè: sì. Leggere è importante. Lo è studiare. Ma è soprattutto bello, farlo. Ci permette di essere liberi, di scegliere il nostro lavoro, e dunque di orientare la nostra vita, invece di essere scelti dalla casualità dei giorni, ritrovarci orientati. Perché è questo, credo, che più manchi, oggi, ai nostri bambini, ai nostri ragazzi: la promessa di un mondo, dentro di loro e tutt’attorno, che possa essere più interessante di quelli in cui possono rifugiarsi su Tik Tok o su Toca Boca. Più avventuroso, più bello-bello, bello bello. Ma noi per primi, genitori e maestri e professori, alla bellezza, alla gioia, alla passione dobbiamo sforzarci di fare appello, per convincere loro a fidarsi. Del loro ruolo di esseri umani in un mondo in cui possono fare la differenza. A tempo indeterminato.

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Cosa serve alla scuola? Appello alla passione

Chiara Gamberale