Licenziare un dipendente che insulta il capo è legittimo: la sentenza della Cassazione
CronacaL’episodio risale al novembre 2018. Alla dipendente era stato contestato di aver usato un termine ingiurioso nei confronti del dirigente, in un contesto di dissenso per una disposizione ricevuta. Pochi giorni dopo era arrivata la lettera di licenziamento per giusta causa
Per la corte di Cassazione è legittimo il licenziamento di un dipendente che insulta il proprio capo davanti ad un collega. La Suprema corte lo afferma in una sentenza relativa alla vicenda di una donna di Acireale che ha utilizzato parole ingiuriose nei confronti di un suo superiore e per questo era stata licenziata per giusta causa. La Cassazione - come si legge sul quotidiano 'Il Messaggero' - ha fatto sue le conclusioni a cui erano giunti anche i giudici della Corte d'Appello di Catania che avevano qualificato di "notevole gravità" le condotte della dipendente che si era rivolta al suo superiore utilizzando "un epiteto volgare, in un contesto di dissenso rispetto ad una direttiva impartita, ritenendo tale espressione indice di insubordinazione". Tutto questo in presenza di una collega dimostrando così "un atteggiamento di sfida e disprezzo verso l'autorità", scrivono gli ermellini nella sentenza depositata il 25 luglio scorso.
L'iter giudiziario
La vicenda risale al 2018. La lavoratrice aveva impugnato il provvedimento davanti al Tribunale di Catania, che nel 2020 le aveva dato ragione, giudicando sproporzionata la sanzione e disponendo la reintegra e il pagamento di dodici mensilità di indennità. Una decisione confermata anche in sede di opposizione. La situazione è cambiata in appello.
Giudizio ribaltato in Appello
Nel 2023 la Corte d’Appello di Catania ha ribaltato completamente l’esito, riconoscendo che la condotta integrava sia l’ipotesi contrattuale di “litigi di particolare gravità, ingiurie, risse sul luogo di lavoro” sia quella di “grave insubordinazione” previste dal CCNL di settore. Per i giudici di secondo grado, l’episodio aveva carattere di “notevole gravità”, aggravato dal fatto che fosse avvenuto in presenza di terzi e accompagnato dal rifiuto di adempiere.