Introduzione
È costituzionalmente illegittimo l'articolo 27-bis del decreto legislativo numero 151 del 2001 nella parte in cui non riconosce il congedo di paternità obbligatorio a una lavoratrice, genitore intenzionale in una coppia di donne risultanti genitori nei registri dello stato civile. È quanto ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza numero 115, depositata nella giornata di oggi. Ecco cosa sapere
Quello che devi sapere
Il caso
La questione era stata sollevata dalla Corte d'appello di Brescia, che aveva ritenuto discriminatoria la disposizione in oggetto, la quale consente soltanto al padre di fruire del congedo di paternità obbligatorio, pari a 10 giorni di astensione dal lavoro retribuiti al 100%, escludendo, quindi, dal beneficio la 'seconda madre', nel caso in cui la coppia di genitori sia formata da due donne riconosciute entrambe, perché iscritte nei registri dello stato civile, come madri dallo Stato italiano
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Disparità di trattamento “manifestamente irragionevole”
Con la sentenza indicata, la Corte ha ritenuto "manifestamente irragionevole" la disparità di trattamento tra coppie genitoriali composte da persone di sesso diverso e coppie composte da due donne riconosciute come genitori di un minore legittimamente attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita svolte all'estero conformemente alla lex loci
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La spiegazione della Corte
Una disparità di trattamento spiegata in questo modo dalla Corte: “Costoro, condividendo un progetto di genitorialità, hanno assunto, al pari della coppia eterosessuale, la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali alle esigenze del minore che l'ordinamento considera inscindibilmente legati all'esercizio della responsabilità genitoriale"
L’orientamento sessuale
L’orientamento sessuale, ha precisato la Consulta, che "non incide di per sé sulla idoneità all'assunzione di tale responsabilità. Risponde all'interesse del minore, che ha carattere di centralità nell'ordinamento nazionale e sovranazionale, vedersi riconoscere lo stato di figlio della madre biologica, che lo ha partorito, e di quella intenzionale, che abbiano condiviso l'impegno di cura nei suoi confronti"
I diritti del minore e il tempo da dedicare loro
Il diritto del minore a mantenere un rapporto con entrambi i genitori è riconosciuto a livello di legislazione ordinaria (articoli 315-bis e 337-ter del Codice civile) nonché da una serie di strumenti internazionali e dell'Unione europea. Con riguardo, in particolare, alla provvidenza in questione, osserva la Corte, viene in rilievo l'esigenza di dedicare un tempo adeguato alla cura del minore, anche attraverso la modulazione di quello da destinare al lavoro, in coerenza con la finalità di favorire l'esercizio dei doveri genitoriali secondo una migliore organizzazione delle esigenze familiari, in un processo di progressiva valorizzazione dell'aspetto funzionale della genitorialità, identico nelle formazioni costituite da coppie omosessuali ed eterosessuali
La distinzione delle figure
Ed è ben possibile, conclude la Corte, identificare nelle coppie omogenitoriali femminili una figura equiparabile a quella che è la figura paterna all'interno delle coppie eterosessuali, distinguendo tra la madre biologica e quella intenzionale, che ha condiviso l'impegno di cura e responsabilità nei confronti del nuovo nato e vi partecipa attivamente
Il precedente di maggio
Questa sentenza segue la numero 68 dello scorso 22 maggio, con la quale la Corte costituzionale aveva dichiarato incostituzionale il divieto per la “madre intenzionale” di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita (Pma) legittimamente praticata all’estero. La decisione rispondeva alle questioni sollevate dal Tribunale di Lucca e stabiliva che i bambini nati in Italia grazie alla procreazione medicalmente assistita effettuata all’estero hanno diritto a essere riconosciuti come figli di entrambe le madri e possono essere iscritti all’anagrafe con questo status fin dalla nascita. Secondo la Consulta questo impedimento per la “madre intenzionale” violerebbe gli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione, danneggiando l’identità personale del minore, negando un riconoscimento giuridico stabile sin dalla nascita e contrastando con il principio di uguaglianza, senza giustificazioni costituzionali valide. La Consulta sottolineò come la dichiarazione di illegittimità costituzionale si fondasse su due principi cardine: la responsabilità derivante dall’impegno comune che una coppia si assume quando decide di ricorrere alla Pma per avere un figlio, impegno dal quale nessuno dei due genitori può sottrarsi, e la centralità dell’interesse del minore a vedere riconosciuti i propri diritti nei confronti di entrambi i genitori. Il mancato riconoscimento fin dalla nascita comprometterebbe quindi il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, a ricevere cura, educazione e assistenza morale, nonché a conservare legami significativi con i rispettivi parenti
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