Come funzionano i centri per migranti in Albania

Cronaca
Andrea Ceredani

Andrea Ceredani

Pensati come strutture di prima accoglienza per persone salvate in mare, sono ora convertiti in Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Al momento, i numeri parlano di un insuccesso ma il loro futuro è appeso a una sentenza dei giudici europei, che si pronunceranno nei prossimi mesi. Dove sono, quanto costano e chi ospitano i centri di Shengjin e Gjader

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Da poche settimane, il decreto Albania è stato convertito in legge e le strutture di Shengjin e Gjader sono diventate ufficialmente Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Eppure, almeno nelle intenzioni iniziali, l’accoglienza dei migranti in attesa di rimpatrio non era la loro destinazione d’uso. Il Governo, al momento dell’apertura nel 2024, aveva annunciato che i centri avrebbero ospitato circa mille persone intercettate nel Mediterraneo e disincentivato molte altre dalla partenza. Ma i numeri dei primi otto mesi di vita delle strutture dipingono un altro quadro: meno di cento persone sono state salvate in mare e portate in Albania, rispetto allo scorso anno le partenze da Libia e Tunisia sono aumentate e anche i pochi migranti trattenuti a Gjader, nell’arco di pochi giorni, sono stati tutti riportati in Italia.

Attualmente, dunque, i centri possono trattenere solo persone sulla cui testa pende un provvedimento di espulsione, ma che già erano detenute in altri centri italiani. In futuro, le strutture potrebbero tornare a ospitare migranti salvati in mare, ma tutto dipenderà da una sentenza della Corte di giustizia europea. Che non si è ancora pronunciata.

Le strutture e i costi

Al momento, i centri non funzionano a pieno regime. Perciò, le opposizioni hanno accusato il Governo di aver sprecato fondi pubblici. Ma quanti? Per la costruzione delle strutture l’Italia ha dichiarato una spesa di 65 milioni di euro, mentre per la gestione saranno investiti circa 120 milioni di euro ogni anno. Da accordi, i centri sono in mano alle autorità italiane, mentre l’Albania offre solamente i territori per l’accoglienza: Shengjin e Gjader. Nel primo, sulla costa adriatica, si trova solo un hotspot dove dovrebbero sbarcare ed essere identificate le persone intercettate nel Mediterraneo. Nel secondo, invece, si trova un centro di prima accoglienza per i richiedenti asilo, da 880 posti, un Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr), da 144 posti, e un carcere, da 20 posti, necessario laddove i giudici disponessero la custodia cautelare per qualche ospite.

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I primi arrivi

A ottobre e novembre, per due volte, le navi della Marina e della Guardia di finanza italiane hanno trasbordato persone migranti in Albania. Ma, dopo pochi giorni, sono state costrette a riportarle in Italia su ordine dei giudici italiani. Il motivo ruota attorno alla definizione di “Paese sicuro”.
Con ordine. Nei centri in Albania, secondo il protocollo di intesa tra Roma e Tirana, possono essere trattenuti solo uomini adulti non fragili. Per donne, bambini e persone con vulnerabilità, lo sbarco in Italia resta obbligatorio. Ma non è sufficiente. Solo i migranti provenienti da Paesi considerati sicuri possono essere ospitati fuori dai confini italiani. Ed è per questo motivo che le strutture sonno rimaste vuote per mesi.
L’Italia considera sicuri anche Paesi come Tunisia, Egitto e Bangladesh, da dove sono arrivati i primi migranti trasportati in Albania. Ma i giudici europei non sono d’accordo. La Corte di giustizia ha sentenziato che un Paese, per essere considerato sicuro, lo debba essere in ogni parte del suo territorio e per ogni categoria di persone. Egitto e Bangladesh, ad esempio, non garantiscono i diritti degli oppositori politici di alcune minoranze, come la comunità LGBTQIA+. Ed ecco perché le persone provenienti da quei Paesi, come stabilito dai giudici italiani, sono state tutte ritrasferite dall’Albania all’Italia nell’arco di pochi giorni.

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Cpr e futuro

Non è detto che in futuro l’Unione europea non cambi opinione sui Paesi sicuri. Una nuova sentenza è attesa quest’anno e il Governo spera che sia indulgente con la lista di Paesi sicuri stilata dall’Italia, per decreto, nell’ottobre 2024. Intanto, però, Gjader è diventato l’undicesimo Cpr italiano e il primo costruito fuori dai confini nazionali. Al suo interno si trovano detenute, senza dover scontare pene, solo persone destinatarie di provvedimento di espulsione.
Il ministero dell’Interno non ha diramato numeri ufficiali: dalle ispezioni di europarlamentari e avvocati, è noto che nel 2025 qualche decina di migranti è stata trattenuta nel Cpr in Albania, ma che solo per alcuni di questi è stato eseguito il rimpatrio. In tutti i casi, il ritorno al Paese d’origine è passato da un nuovo rientro in Italia.

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