Come cambia il patto tra Roma e Tirana

Il Protocollo tra Italia e Albania sui migranti, rivisto e modificato con il decreto legge del 28 marzo scorso, è ora a prova di ricorsi e bocciature. Il Governo italiano ha deciso di non attendere la sentenza della Corte di Giustizia Europea sui “Paesi sicuri” e, determinato ad evitare il fallimento dell’accordo con Tirana, ha pensato, d’accordo con il premier del Paese delle Aquile Edi Rama, di trasformare il centro di Gjader nell’undicesimo Cpr italiano, senza che questo comporti “diseconomie se non ideologiche”, la risposta del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a chi già contestava i nuovi costi provocati da questa scelta. È qui, nella vecchia base dell’aeronautica albanese, che sono stati sistemati i 40 migranti irregolari in attesa di espulsione arrivati venerdì scorso da Brindisi. Vi rimarranno al massimo per 18 mesi, prima di essere rimandati nei loro paesi, facendo scalo dall’Italia. Il protocollo Ma vediamo meglio come e perché si arriva a questa inversione di rotta. Il Protocollo tra Roma e Tirana firmato il 6 novembre del 2023 da Giorgia Meloni ed Edi Rama, viene ratificato dal nostro Parlamento nel febbraio del 2024. L’obiettivo dichiarato è quello di alleggerire la pressione su Lampedusa e gli altri centri di accoglienza italiani, ma la ratio alla base di questa nuova strategia, in realtà, è un’altra: dissuadere i migranti che partono per motivi diversi dalla “protezione internazionale”, dall’avventurarsi in un viaggio che non finirà in Europa, ma in un centro in Albania protetto da recinzioni alte 4 metri. Non è un caso che il Protocollo non si applichi a tutti i migranti che arrivano da noi, ma esclusivamente a maschi adulti, soli, non vulnerabili, provenienti da paesi sicuri e soccorsi in mare durante operazioni di salvataggio. Per ospitarli, in Albania, vengono allestiti due centri, al cui interno verrà fatta valere la giurisdizione italiana. Il primo, sul porto di Shengjin, funzionerà da hot-spot, centro di primo approdo e riconoscimento; l’altro, più grande, a Gjader, ospiterà poi quanti faranno richiesta di protezione internazionale e prevede anche un’area detentiva, che funziona come Cpr, e un piccolo penitenziario da 20 posti. L’accordo ha una validità di 5 anni, e prevede l’impiego di 300 uomini tra poliziotti, carabinieri e finanzieri, mentre la gestione viene affidata ad una cooperativa italiana. Costo totale della missione: 670 milioni di euro. Le bocciature dei giudici Il primo trasferimento avviene il 16 ottobre del 2024, ma la permanenza in terra albanese dei 12 migranti, egiziani e bengalesi, dura solo poche ore. Il Protocollo si arena subito sull’unico requisito non oggettivo richiesto ai migranti: la provenienza da paesi sicuri. Al Governo, che pensava di poter far valere la lista di 22 Paesi contenuta nel decreto legge del 7 maggio 2024, risponderanno i giudici del tribunale di Roma, che appellandosi a una sentenza della Corte Europea di Giustizia, bocceranno sia questo che il secondo trasferimento del 9 novembre. Rivista nel frattempo con un nuovo decreto la lista dei paesi sicuri, il Governo non si ferma, trasferisce la competenza sui ricorsi alla Corte d’Appello, e il 28 gennaio fa arrivare in Albania 43 migranti. Ma anche la loro permanenza nel Paese delle Aquile durerà pochissimo, con i giudici che non convalideranno il trattenimento e ne sospenderanno gli effetti, in attesa che sia la Corte di Giustizia Europea a stabilire se un paese possa essere considerato sicuro “quando le condizioni sostanziali per la sua designazione non sono soddisfatte per alcune categorie di persone”. La terza bocciatura ferma l’esecutivo, che decide però di non rinunciare al Protocollo, senza per questo aspettare la sentenza della Corte Europea, che arriverà non prima di giugno. Nasce, così, d’accordo con il governo albanese, la decisione di modificare il Protocollo e trasformare quello di Gjader in un centro per i rimpatri. Il cambio di rotta Un decreto legge del 28 marzo estende il Protocollo ai migranti irregolari già raggiunti da provvedimento di espulsione e in attesa di rimpatrio nei nostri Cpr. I primi a “beneficiarne” sono i 40 che arrivano dal centro di Restinco, a Brindisi, trasferiti in Albania a bordo di nave Libra. Gli europarlamentari e gli attivisti che li attendono a Shengjin raccontano di averli visti scendere a terra ammanettati. “Normali misure di sicurezza” la replica, dall’Italia, del ministro Piantedosi, che ricorda come si tratti di irregolari accusati, in alcuni casi, di reati gravissimi, il cui trasferimento necessita quindi di accorgimenti particolari, come le fascette ai polsi, appunto, necessarie per tutelare la sicurezza degli operatori di polizia, ma anche quella degli stessi migranti. Vengono sistemati in un’ala del centro di Gjader già concepita come Cpr, con porte blindate e sbarre alle finestre. La capienza è di 48 posti, ma presto diventeranno 144. Probabile che vengano occupati tutti, da qui a qualche mese, ma si fa fatica a pensare che creare, in Albania, l’undicesimo Cpr italiano, possa bastare a giustificare un apparato come quello messo su tra Shengjin e Gjader. Il futuro del Protocollo tra Roma e Tirana passa, inevitabilmente, dalla questione “Paesi sicuri” e dalla sentenza che arriverà, prima della prossima estate, dal Lussemburgo.

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