Albania, così uno dei 39 migranti è stato trasferito nel Cpr senza motivazione ufficiale

Sabato 19 aprile arriva l’annuncio, su X, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: sarà rimpatriato, con un volo dall’Italia, il primo detenuto nei Cpr in Albania. Si tratta di un cittadino bengalese di 49 anni, giunto nel 2009 nel nostro Paese ed espulso per “pericolosità sociale”. I trattenuti nel centro di Gjadër resterebbero, dunque, 38. Sono persone migranti destinatarie di un decreto di espulsione che non devono scontare pene ma che, come nei Centri di permanenza per i rimpatri italiani, sono trattenute in strutture di detenzione amministrativa in condizioni spesso “peggiori di quelle di un carcere”. A definirle così, è l’avvocato Donato Pianoforte, che difende un ragazzo di trenta anni attualmente detenuto in Albania proveniente dal Marocco. Per lui, giunto in Italia nel 2021 dopo tre mesi di detenzione in Libia, il trattamento riservato nel centro di Gjadër è “peggiore rispetto a quello ottenuto nel Cpr di Palazzo San Gervasio, a Potenza, dove era trattenuto fino al trasferimento ordinato senza fornire un parere motivato”, spiega l’avvocato. Trasferimento immotivato In Italia, il trentenne ha una sorella, un cognato e dei nipoti “che sono disposti a ospitarlo e a dargli assistenza”, racconta Pianoforte. Alle spalle, ha un passato di violenze nei centri libici, dove “racconta in modo frammentario – continua il legale – di aver subito violenze, mostrando cicatrici che fa risalire a quel periodo”. Nel suo passato si trova anche una pena scontata, nel carcere napoletano di Poggioreale, per rapina. “Quel reato era legato alla sua tossicodipendenza – spiega l’avvocato – Faceva uso di sostanze e ha continuato a farlo dentro al Cpr”. Dove il trentenne è stato detenuto, in condizioni peggiori di quelle del carcere, perché destinatario di un provvedimento di espulsione dall’Italia. Finché non è arrivato l’obbligo di trasferimento in Albania. “A nostro giudizio è stato un trasferimento inaspettato e immotivato – commenta Pianoforte – La Questura di Potenza ha chiesto il parere motivato al Ministero per poter trasmettere gli atti, ma ad oggi ancora non è arrivato. Tra i legali con cui mi sono confrontato, il provvedimento motivato non è giunto a nessuno”. In altre parole, non è stata offerta alcuna spiegazione del trasferimento in Albania nonostante, secondo i principi della legge Lamorgese, gli spostamenti tra Cpr, seguendo i principi di quelli infracarcerari, dovrebbero sempre essere motivati. Non solo: “I detenuti dovrebbereo anche essere spostati verso i Cpr più vicini”, spiega l’avvocato. Nel caso del cittadino marocchino, poi, il trasferimento non sarebbe giustificato neppure dalla sua condotta. “In carcere il tribunale di sorveglianza ha decretato per lui pure la liberazione anticipata – continua Pianoforte - È il sintomo di un comportamento corretto. In più, non avevano problemi di sicurezza neppure dentro al Cpr, non aveva dato fastidio a nessuno”. Difficoltà di comunicazione Il trasferimento ha obbligato il cittadino marocchino ad allontanarsi dalla famiglia, gli unici legami rimasti in Italia. “Dal momento che ci sono parenti presenti regolarmente sul territorio italiano – commenta Pianoforte – andrebbe tutelato il diritto all’unità familiare nella procedura espulsiva. In questo modo, invece, si rende tutto più complicato anche per i contatti con i familiari, da una telefonata all’invio di beni di ogni genere”. Ma la comunicazione è un problema per gli stessi avvocati: “Abbiamo fatto i primi colloqui telefonici con l’interprete, perché il ragazzo parla un italiano stentato. A queste condizioni, però, è difficile avere un racconto spontaneo perché, parlando di fronte a una persona che lavora per l’ente, ogni migrante è timoroso nel raccontare le proprie questioni”. Durante il viaggio a bordo della nave Libra della Marina militare, però, il trentenne è comunque riuscito a raccontare al suo legale qualcosa del trasferimento in Albania. “Mi ha confermato di essere rimasto in manette fino all’arrivo a Gjadër ma non ho potuto vedere niente perché, sulla nave, non siamo riusciti a fare una videochiamata”. Arrivato, poi, al centro di Gjadër il trentenne ha speso sempre meno parole con il proprio legale, ammettendo solo che le condizioni erano peggiori di quelle del Cpr in cui era detenuto a Potenza. “Abbiamo fatto colloqui veloci – spiega Pianoforte – perché poteva sempre essere presente qualcun altro in stanza con lui. Quindi, abbiamo parlato solo della strategia difensiva”. Ritorno in Italia? E proprio la strategia difensiva potrebbe ricondurre il trentenne marocchino, assieme ad altri nelle stesse condizioni, in Italia. Appena entrato nel centro di Gjadër, infatti, ha fatto richiesta di protezione internazionale, “che non aveva redatto prima perché non era stato ben informato”, spiega l’avvocato. Il giudice ha rigettato la domanda, ma ora il suo status di richiedente asilo imporrebbe il ritorno in Italia, perché i centri in Albania, secondo le leggi attuali, non possono essere impiegati per il trattenimento di chi richiede protezione internazionale, ma solo di chi attende l’espulsione o di chi è stato intercettato in mare ed è sottoposto alle procedure accelerate di frontiera. “Paradossalmente – commenta Pianoforte – se tutti ora chiedessero asilo, teoricamente dovrebbero essere immediatamente rimpatriati. Non so in quanti lo abbiano fatto, noi siamo stati i primi”. Il legale fa sapere di aver già contattato il centro di Gjadër per avere notizie sulle prossime tappe: “La sorella e i familiari sanno che deve tornare e vogliono sapere quando e come succederà”, conclude il legale.

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