Come il Pnrr (non) ha migliorato le mense scolastiche

Mangiare, nelle scuole italiane, costa 85 euro al mese per ogni figlio. 108 euro per chi vive in Emilia-Romagna, la regione più costosa. Le mense scolastiche sono ogni anno più care e, per più di un insegnante su tre, la qualità del cibo è insufficiente. Questo è il bilancio in un terzo degli edifici scolastici italiani – 13.865 per la precisione – perché negli altri due terzi un locale mensa non esiste neanche. Con la conseguenza che garantire agli studenti il pranzo – dunque il tempo pieno, fondamentale per le famiglie in cui entrambi i genitori sono lavoratori – diventa un percorso a ostacoli. A fotografare la situazione è l’VIII indagine sulle mense scolastiche di Cittadinanza attiva, che dipinge un’Italia spaccata in due: al Sud poco più di un edificio su cinque dispone di una mensa, mentre al Nord si supera il 43%. Il Pnrr, che ha messo a disposizione oltre un miliardo di euro per “il piano di estensione del tempo pieno e mense”, avrebbe dovuto destinare il 58% di questi fondi alle regioni del Sud. Ma così non è stato: al dicembre 2024, solo il 37% dei soldi già spesi è stato investito in scuole del Mezzogiorno. E non tutti – naturalmente – per costruire mense: poco più di metà degli interventi previsti serviranno a realizzare nuovi locali ad hoc e solo il 44% di questi si troverà al Sud. “Il Pnrr purtroppo non sanerà del tutto le disparità territoriali – commenta a Sky tg24 Insider l’autrice dell’indagine, Adriana Bizzarri – E ci aspettiamo anche che i costi aumenteranno l’anno prossimo. Il timore è che il divario si aggravi sempre di più”. Il pranzo lo paga il Comune? ll prezzo annuale dei pasti, in realtà, è aumentato solo dell’1% rispetto al 2023. Ma i ricercatori di Cittadinanza attiva si aspettano un ulteriore rincaro nel 2025: il motivo starebbe principalmente nella crisi delle aziende di ristorazione collettiva dovuta, in primis, all’aumento complessivo dei costi dell’energia. Ma anche, nello specifico, alla crescita della percentuale di famiglie povere esentate dal pagamento della mensa e alla difficoltà nel reperimento delle materie prime. “Per rispettare i Criteri ambientali minimi – spiega Bizzarri – le mense non hanno una disponibilità agricola sufficiente. Quindi, spesso devono importare gli alimenti da altre regioni e i costi lievitano”. Secondo Cittadinanza attiva, anche il fondo messo a disposizione dalla legge di Bilancio 2025 “per il contrasto della povertà alimentare a scuola”, dotato di 500mila euro per quest’anno e altrettanti per il prossimo, “è davvero poca cosa per sostenere i Comuni e, a cascata, le famiglie più povere”. Sono proprio gli Enti locali a farsi, più o meno, carico delle spese alimentari degli studenti. “Ci sono Comuni più ricchi – afferma Bizzarri – che riescono a garantire una spesa contenuta alle famiglie. Roma, ad esempio, ha deciso di non incidere in misura rilevante sull’utenza. Ma quella che manca dall’alto è un’attenzione alla ristorazione collettiva. Le mense sono un presidio fondamentale: sono un aiuto per le famiglie più povere e un sostegno alla salute dei più piccoli”. Muffa nel piatto Anche dove è garantita, però, la mensa scolastica non è sempre sinonimo di qualità. Un’indagine dei Nas, resa pubblica lo scorso 12 novembre 2024, ha riscontrato irregolarità in quasi una mensa su 4: circa 170 delle 700 ispezionate. Le carenze più diffuse sono di tipo igienico-strutturale: muffe, insetti, escrementi di roditori e diffusa umidità. In altri casi, invece, è stata contestata la mancata tracciabilità degli alimenti e l’omessa presenza degli allergeni. Non stupisce, perciò, che quando l’associazione FoodInsider ha chiesto ai docenti cosa ne pensassero della qualità del cibo offerto nella propria scuola, solo uno su tre si è detto soddisfatto. Gli altri si sono divisi tra giudizi sufficienti e insufficienti . Per migliorare la qualità degli alimenti e diffondere il consumo di prodotti biologici a scuola, il ministero dell’Agricoltura e quello dell’Istruzione hanno decretato l’istituzione di alcune “mense biologiche” con un fondo ad hoc da destinare, in larga parte, alla riduzione dei costi a carico delle famiglie e, per il 14%, alla sensibilizzazione sul tema. L’impatto dello stanziamento, però, è minimo: nel 2018 erano stati trovati solo 10 milioni di euro, scesi a 5 nel 2020 e tagliati ulteriormente a 3,6 per il 2026. Scuole senza merendine Eppure, nelle mense italiane la qualità del cibo è quasi ovunque in crescita. Il numero di pasti bio è raddoppiato negli ultimi tre anni , la maggioranza delle scuole propone una varietà di almeno 4 cereali diversi al mese, il 43% offre almeno 4 specie di pesce differenti, l’uso di carni rosse è in calo e crescono i legumi e il cibo a chilometro zero. Non è solo una questione di costume o abitudini: “Mangiare più sano a scuola – commenta Bizzarri – è sinonimo di salute e di cultura. L’educazione a un’alimentazione sana ha un impatto fondamentale sulla consapevolezza degli studenti. Per questo, proponiamo di rimuovere il cibo spazzatura anche dalle macchinette che troviamo in ogni istituto. Servirebbero a rendere più confortevole la vita a scuola, ma c’è una contraddizione: non possiamo attuare buone pratiche a mensa e poi proporre merendine e bevande zuccherate. Contrasterebbe con i nuovi menù e sarebbe un brutto segnale da parte degli educatori”.

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