Perché Trump sbaglia a parlare di “genocidio di bianchi” in Sudafrica

Quella poltrona di broccato giallo, alla destra del presidente Trump, nel “caminetto” dello Studio Ovale, è certamente uno dei luoghi più insidiosi del pianeta. È lì, infatti, che the Donald – sfruttando la presenza dei reporter e il palcoscenico internazionale - sferra le sue offensive diplomatiche. Una trappola diplomatica Lo abbiamo visto con Volodymyr Zelensky, aggredito con la spalla del vicepresidente JD Vance, per la sua ostinazione a “non accettare la realtà”. Si è ripetuto con Cyril Ramaphosa, presidente sudafricano, accusato di non fare nulla contro lo “sterminio dei bianchi”. C’è da dire che il numero uno di Pretoria ha reagito in modo più composto rispetto all’omologo ucraino all’aggressione di Trump. Forse – si insinua - lo sospettava, e non si è fatto trovare impreparato. Perché sapeva di non essere un ospite gradito. “La prossima volta regalerò un aereo”, ha risposto a tono, alludendo al principesco – quanto inopportuno - omaggio del Qatar all’ex tycoon. Un personaggio scomodo e controverso Che il numero uno di Pretoria non sia in cima alla lista degli amici di Trump lo si può dare per scontato: fa parte dei BRICS, cioè di quel gruppo di paesi che si contrappongono all’Occidente. In senso lato, ovviamente. È certo il fatto che il Sudafrica abbia presentato una denuncia formale contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia , accusandolo di violare la Convenzione sul Genocidio del 1948 attraverso le sue operazioni militari a Gaza, non aiuta a rasserenare i rapporti. Insomma, non proprio un ospite gradito. Resta però il dubbio sulla fondatezza dei documenti presentati. Episodi da ridimensionare “Che ci siano state violenze contro alcuni afrikaner è innegabile”, ci risponde Massimo Alberizzi, storico corrispondente de Corriere della Sera, profondo conoscitore dell’Africa, “ma quel che accade ai “bianchi” in Sudafrica è tutt’altro che paragonabile a un genocidio, si tratterà di 5 – 6 casi”. Eppure, non si può negare che ci siano stati degli episodi gravi. Ma non si possono neanche lontanamente paragonare con quanto è successo, ad esempio, nel vicino Zimbabwe, dove sì, c’è stata una vera persecuzione dei bianchi. Guardiamo ai fatti. A tutt’oggi l'economia del Sudafrica è praticamente in mano ai bianchi. La situazione è complicata, dal punto di vista economico, in quelle aree dove c’è una forte migrazione. La situazione di migranti, però, è paragonabile a quella europea. Semmai c'è un grande problema che riguarda tutti, e riguarda anche i neri contro neri che vengono in massa dai paesi vicini. C’è razzismo, sì, ma, soprattutto nei confronti degli altri neri che vengono da Zimbabwe, Mozambico, Angola, Botswana… E allora perché queste accuse di Trump a Ramaphosa? Solo per inimicizia politica? Certo. Ma io credo che sia anche perché lui deve rivendicare la sua ideologia, che è francamente razzista. Vuole chiudere l'America agli emigranti, magari i latinoamericani, che non sono del tutto “bianchi” - perché hanno il sangue indio. Però i bianchi discendenti degli olandesi o dei britannici che vivono in Sud Africa sono benaccetti. Come il 12 maggio scorso, quando l’amministrazione Usa ha accolto 59 Afrikaner in quanto rifugiati politici… Appunto, questo è il suo tipo di ideologia, purtroppo. E per cui ci troviamo di fronte a delle decisioni che non sono di tipo politico, ma ideologico. E anche razziale. Guardando però alla storia recente del paese, non si può negare che la situazione negli ultimi decenni, dopo l’entusiasmo inziale seguito alla liberazione di Nelson Mandela sia gravemente deteriorata, sia politicamente che economicamente. E non tanto per l’inflazione, al 3%, quanto per il tasso di disoccupazione complessivo al 31,9% e quello giovanile al 44,6%. La gestione catastrofica del Covid e la disastrosa presidenza Zuma. Si può parlare del Sudafrica “Nazione Arcobaleno” come un sogno tradito? Soprattutto del sogno di Mandela? Ma certo: il Paese è finito nelle mani di Zuma, un presidente corrotto, che ha violato praticamente tutti i principi di Mandela, e a questo punto l’Anc si è spaccato: la gente che se n'è andata proprio rivendicando l'eredità di Mandela. E quindi la situazione politica non è sicuramente calma e tranquilla. Però inserire in questa situazione, pur drammatica, il dato razziale mi sembra eccessivo. Comunque, in Sudafrica c'è un'integrazione maggiore rispetto a tanti altri paesi africani, e quindi per certi altri aspetti si può replicare: fallito rispetto a cosa? Rispetto all'ideale utopico di Mandela, forse. Ma un paese fallito è lo Zimbabwe, dove Mugabe è stato cacciato e poi al suo posto è arrivato un altro, che praticamente era la sua controfigura. Forse bisogna ribaltare e relativizzare le cose. Resta il fatto che il Sudafrica, che pure ha grandi potenzialità, un po’ come tutta l’Africa, sia in enorme crisi. E, se posso farti una domanda provocatoria, possibile che nel “Continente Nero” vada sempre tutto storto? Il vero problema è la corruzione. È un problema comune non solo all'Africa, ma lì si manifesta in un modo eclatante. E la corruzione va contro il progresso, va contro lo sviluppo. E questi paesi sono sempre più divisi in ricchi e poveri, anzi ricchissimi e poverissimi. Un po' quello – in prospettiva - che sta accadendo anche qui. In Africa le classi politiche sono costituite in gran parte da persone che mirano semplicemente a sé stesse e ad arricchirsi, ad arricchire le proprie famiglie, i propri clan, le proprie tribù. Provocazione per provocazione, non è dissimile da quel che succede anche in Italia? I clan non funzionano su meccanismi diversi, parlano tutti un linguaggio mafioso. Ed è questo alla base del mancato sviluppo di questi paesi, dove si privilegiano le fedeltà di sangue etniche rispetto alle fedeltà politiche.

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