Quanti migranti vengono rimpatriati dai Cpr in Albania?

Se non si trattasse di persone, parleremmo di un “ping pong” paradossale e costoso. Ma sono decine di uomini adulti quelli che sono stati trasferiti dai Cpr italiani al centro di Gjader, in Albania: alcuni sono detenuti da pochi giorni, altri sono già stati fatti rientrare nel nostro Paese come richiedenti asilo. Ma tutti quelli che saranno rimpatriati dovranno comunque ripassare, prima, dall’Italia. In pratica, come spiega l’avvocata Anna Pellegrino di Asgi , che ha visitato le strutture in Albania lo scorso 27 aprile, “anche accettando la logica dei Cpr, non ha senso portare queste persone in Albania per il rimpatrio, perché al momento è impensabile che partano direttamente da là”. I numeri Dopo le ripetute bocciature dei giudici italiani che, seguendo le indicazioni della Corte europea, non hanno convalidato il trattenimento in Albania delle persone migranti soccorse in mare, quello di Gjader è diventato un Cpr a tutti gli effetti. Lo scorso 11 aprile, il Governo ha trasferito 41 persone dai centri italiani alle strutture albanesi, vuote dalla loro inaugurazione. Da quel momento, però, l’esecutivo non ha più comunicato dati ufficiali. Gli unici numeri a disposizione sono quelli ricavati dalle visite ispettive all’interno del Cpr da parte del Tavolo asilo e immigrazione, accompagnato dal deputato del Pd Fabio Porta e dall’europarlamentare dem Cecilia Strada. Al 30 aprile le persone rimaste a Gjader erano 25. “Da quello che ci risulta – spiega Pellegrino, che ha partecipato all’ispezione insieme a Strada – quattro persone erano state rimpatriate, passando comunque dall’Italia. Altre hanno fatto richiesta di protezione internazionale e sono stati riportati nei Cpr italiani”. Secondo l’avvocata, circa 15 persone dovrebbero essere trasferite in Albania in nuovo viaggio. Più difficile è capire, invece, quante potrebbero essere nuovamente rimpatriate. Lo scorso 7 maggio Giorgia Meloni ha annunciato che, entro la fine della settimana, sarebbe stato rimpatriato il 25% delle persone trasferite nelle strutture albanesi. Percentuali basse rispetto al circa 50% dei Cpr italiani dove, al momento, restano molti posti liberi. “Di fatto, anche i rimpatri ‘albanesi’ si svolgono dall’Italia – spiega Pellegrino – Con le leggi attuali, bisognerebbe che il Governo italiano avesse una qualche giurisdizione anche in aeroporto e per tutto il volo di rimpatrio, per permettere l’espulsione da Gjader. Ma non è così”. Tentati suicidi e psicofarmaci Problemi di pressione dell’acqua, corrente che salta e sbarre che vengono via troppo facilmente. Agli occhi di chi l’ha visitato, il Cpr di Gjader è apparso come una struttura “che è stata messa in piedi in poco tempo e non è adeguata a ospitare persone”, commenta l’avvocata Pellegrino. I rischi maggiori riguardano la sicurezza delle persone detenute che, come nei centri italiani, non devono scontare pene ma solo attendere il rimpatrio. “Nelle celle ci sono dei ganci, che assolvono a esigenze antincendio, ma che sono stati usati per tentativi di impiccagione. E le stesse sbarre, rimosse, sono state usate per ferirsi o per ferire altri”, afferma Pellegrino. Parlando con una decina di persone migranti e con le forze dell’ordine, durante la visita, l’avvocata ha contato una quarantina di eventi critici: quasi tutti tentati suicidi o gesti di autolesionismo. “Anche riguardo all’uso di psicofarmaci, mi pare che la situazione sia peggiore rispetto a quella dei Cpr italiani. Con l’aggravante che, di fronte al personale medico albanese, molti hanno confessato di non essere riusciti a spiegare in italiano le proprie condizioni di salute”. Il risultato, con medici che non parlano bene italiano, è che molti migranti non conoscono neppure i medicinali che stanno assumendo: “Sono spaesati”. Diritti a rischio Tra i detenuti in Albania, però, il senso di spaesamento è diffuso dal primo giorno. “Non è stato dato preavviso o spiegazione del trasferimento – continua Pellegrino – Ad alcuni è stato detto dalla mattina alla sera: ‘Raccogli le tue cose e andiamo’. Così, molti non hanno capito inizialmente neppure di essere all’estero”. Anche per i legali difensori, che faticano a entrare in contatto con i propri assistiti, comprendere la ratio dei trasferimenti è difficile: in due casi, conferma la legale di Asgi, la richiesta agli atti ha avuto risposta negativa: “Il decreto di trasferimento non esiste”. “Teniamo conto che difendiamo persone che parlano italiano – conclude l’avvocata – e che spesso hanno famiglie che vivono regolarmente in Italia. Ma a queste condizioni, è difficile assisterli”. Il futuro dei centri Il futuro dei centri di Shengjin e Gjader, in Albania, è legato a una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, attesa nei prossimi mesi, che dovrà decidere sulla definizione di “Paese d’origine sicuro”. Sulla possibilità, in altre parole, di accogliere fuori dai confini italiani anche persone provenienti da Egitto, Bangladesh, Tunisia o altri Paesi oggi ritenuti non in grado di garantire diritti e sicurezza a molte categorie di persone. In attesa della decisione dei giudici, perciò, le strutture albanesi potranno solo essere dei Cpr. “In questo momento assistiamo a un quadro di totale inefficacia – commenta l’avvocato Lorenzo Trucco, presidente di Asgi – ma ritengo, in ogni caso, che la direzione presa dall’Europa sia preoccupante. Diffondendo le procedure accelerate, con la previsione di detenzioni allargate in tantissimi casi, stiamo picconando il diritto d’asilo. Spesso gli avvocati non sono neppure in condizione di capire le ragioni del richiedente asilo né di conoscerne la storia”.

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