Scuola, come il Pnrr (non) ha cambiato il reclutamento dei docenti

Ad annunciarle, per la prima volta, era stato il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi durante il governo Draghi: 70mila immissioni in ruolo entro il 2024. Poi, la scadenza è stata posticipata e l’onere di rispettarla è stato trasmesso al successore, tuttora in carica, Giuseppe Valditara: sempre 70mila assunzioni, sempre tramite concorsi annuali, ma entro il 31 dicembre 2026 . I fondi sono quelli del Pnrr, in particolare della Missione 4 dedicata all’Istruzione e Ricerca, che riserva al “potenziamento dell’offerta di istruzione” circa 19,44 miliardi di euro. Dunque, i fondi sono già a disposizione, due concorsi su tre sono stati banditi e, pur con qualche ritardo, le assunzioni al momento sono in linea con gli obiettivi europei. Eppure, non tutto fila liscio come sembra. Il primo concorso aveva messo a bando 44.654 posti, ma entro il 2024 sono stati assunti 20mila docenti e molte graduatorie sono ancora da scorrere. Il secondo, invece, ha avuto dei rallentamenti dovuti al ripetersi di una prova scritta e non è certo che le procedure riescano a concludersi in tempo per le assunzioni estive. Si tratta, per il Pnrr2, di 239mila candidature per soli 19mila posti. Ma il paradosso è che, nonostante l’abbondanza di domande, molte cattedre rimarranno comunque scoperte: sono quelle di alcune classi di concorso, soprattutto al Nord, e del Sostegno. “È il più grande vulnus della scuola italiana – commenta Manuela Calza, membro della segreteria nazionale della Flc Cgil – I docenti che già abbiamo non possono essere stabilizzati e molte cattedre restano scoperte perché i percorsi di specializzazione non forniscono abbastanza insegnanti specializzati per le assunzioni". Precariato endemico Una premessa: il personale docente in Italia è precario da decenni, ma la sua condizione si fa più grave ogni anno. Nel 2023/24, secondo i sindacati, i contratti a tempo determinato nell’Istruzione erano 250mila. Non si tratta di una situazione omogenea su tutto il territorio, ma di una cifra in crescita sull’anno precedente, che è costata all’Italia una procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea per le condizioni di lavoro “discriminatorie” dettate dall’abuso dei contratti a termine. Per farsi un’idea: in Italia circa il 24% del personale in servizio a scuola è precario, contro il 15% spagnolo, il 6% francese e il 5% tedesco. Il Pnrr, perciò, servirebbe proprio a correre ai ripari con nuovi fondi e una pianificazione più efficace delle assunzioni. Ma, secondo i sindacati, non sarà sufficiente: “Non sono in dubbio le 70mila assunzioni – spiega Calza – anche se oggi non so come sia possibile bandire un nuovo concorso in autunno e chiudere tutto entro l’inverno del 2026. In ogni caso, questi 70mila non saranno quelli che possono coprire tutti i posti vacanti. Perciò, chiediamo anche di attingere alle vecchie graduatorie concorsuali, come quella del 2020, anche se non risponde alle caratteristiche dei nuovi concorsi Pnrr”. La novità, infatti, degli ultimi concorsi è che, per accedere alle selezioni, non basta la laurea ma serve una abilitazione che costa fino 2.500 euro per ogni docente. “Sono loro che devono pagarsi questo costo di formazione aggiuntivo solo per accedere al concorso”, puntualizza la sindacalista. Docenti di Sostegno cercasi Le maggiori difficoltà, però, nascono con i posti per gli insegnanti di Sostegno, sempre più numerosi delle domande. Il calcolo è semplice: secondo i dati del ministero dell’Istruzione, dal 2018/19 al 2024/25 le certificazioni che attestano una disabilità sono aumentate del 30%: da 256.296 a 331.124. Nel giro di un anno, però, i posti per i docenti di sostegno sono diminuiti da 234.460 a 205.253. E le Università, di anno in anno, non sono capaci di garantire più di 30mila nuovi idonei, certificati tramite i percorsi Tfa, che durano 12 mesi e garantiscono un tirocinio in aula. Perciò, per sopperire alla mancanza di insegnanti, a coprire le cattedre di Sostegno sono docenti senza formazione specifica: 85mila secondo Valditara. Che, per formare nuovi docenti, ha annunciato altri percorsi di formazione da affiancare ai Tfa. Che, però, non convincono i sindacati: “Saranno corsi prevalentemente organizzati dalle Università telematiche – sostiene la sindacalista di Flc Cgil – a distanza, quindi senza tirocinio in aula. In più, si accetteranno anche titoli di specializzazione, in alcuni casi, ‘acquistati’ del tutto all’estero. Senza contare le vere e proprie ‘sanatorie’ previste anche per chi aveva ricevuto un diniego all’insegnamento sul Sostegno da parte del Ministero. A fare le spese di questa formazione al ribasso sono gli studenti con disabilità, che meritano più attenzione”. Tutti a sostegno degli studenti Che quella proposta dal Ministero sia una “formazione al ribasso” lo sostiene anche Dario Ianes, professore in pensione di Pedagogia e Didattica speciale all’università di Bolzano e co-fondatore del Centro studi Erickson. “Nei Tfa universitari è previsto un tirocinio supervisionato – spiega – mentre nei corsi online non è così. E non sono d’accordo neppure nell’accettare chi ha già tre anni di esperienza sul Sostegno, perché potrebbero essere tre anni di lavoro pessimo dentro alle aule. Così, non abbiamo nessuna garanzia”. Al professore, però, non sfugge il problema legato alla carenza di docenti per il Sostegno e propone una soluzione alternativa: “Non ci servono scorciatoie. Dobbiamo formulare un nuovo modello, in cui l’inclusione sia importante per tutti i docenti, non solo per quelli formati ad hoc. Potremmo eliminare la delega al Sostegno, se anche gli insegnanti di Lettere o di Matematica fossero interessati e formati per trattare uno studente che ha la sindrome di Down, per fare un esempio. In questo modo, chi è specializzato potrebbe solo supervisionare. Sgraveremmo il sistema e i pochi docenti che ora si occupano del Sostegno e miglioreremmo le politiche d’inclusione, evitando i frequenti ‘pensaci tu, io insegno altro’ che sentiamo ancora nelle nostre scuole”.

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