Cosa manca nei nuovi dati sull'interruzione volontaria di gravidanza

Dopo anni di attesa, l’Istituto superiore di sanità ha pubblicato una nuova mappa con l’indicazione di tutti i luoghi in cui si può accedere alla pratica di interruzione di gravidanza in Italia prevista dalla legge 194. È una buona notizia, perché questi nuovi dati permettono di osservare come funziona l’applicazione della legge, struttura per struttura, per esempio andando a differenziare dove viene praticato di più l’aborto farmacologico e dove quello chirurgico. È il risultato di un progetto nato nel 2020 e portato avanti con l’obiettivo di garantire trasparenza e accesso alle informazioni, ma ci sono diversi problemi rispetto a quello che poteva già essere fatto per migliorare l’accesso. I dati non sono completi, denunciano le associazioni pro-scelta, e sono fermi al 2023. “Sicuramente qualsiasi mappatura e ampliamento di informazione rispetto all’IVG è gradita, e pensiamo che siamo molto importante questo passo, ma ci sono cose che ci preoccupano e ci fanno venire qualche dubbio” conferma Eleonora Mizzoni, attivista di Obiezione Respinta. “Una su tutte la mancanza di dati sull’obiezione di coscienza, che non emerge dai dati pubblicati: ci sono regioni con l’80% di obiezione, intere strutture ospedaliere dove non è possibile trovare medici non obiettori, e per questo non troviamo soddisfacente la pubblicazione dei dati, anzi, potrebbe essere fuorviante rispetto a chi cerca informazioni su dove accedere alla pratica”. Obiezione Respinta cerca infatti di sopperire a questa mancanza: è una mappatura dell’obiezione di coscienza e dei servizi di IVG e contraccezione di emergenza a partire dalle testimonianze delle persone che hanno dovuto farne accesso. La mappa presenta dei punti verdi o rossi a seconda dell'esperienza positiva o negativa nelle varie strutture, dalle farmacie alle Asl agli ospedali. “L’abbiamo pubblicata l’8 marzo del 2017, e sono ormai migliaia le testimonianze pubbliche. Sono informazioni informali, ma efficaci, perché restituiscono una fotografia della violenza ostetrica, e violenza medica che l’alto tasso di obiezione si porta dietro”, racconta Mizzoni. Altri problemi che riguardano i dati dell’Istituto superiore di sanità sono la forma in cui sono presentati: c’è una mappa che rappresenta l’Italia ed è possibile individuare le strutture di ogni regione, in formato tabellare, su più pagine, ma non è possibile navigare tra questi dati per nome della struttura o per città, per esempio. Né si possono mettere in ordine i dati per numero di Ivg farmacologiche effettuate, se un utente volesse capire immediatamente dove andare a valutare una pratica medica considerata di solito più sicura. È un’interfaccia bloccata, che lascia poco margine di navigazione. I dati non sono scaricabili in formato lavorabile, come un csv o un excel, è indicata la fonte primaria ma senza link di riferimento e viene scritto che i dati sono relativi al 2023 e verranno aggiornati annualmente: ma cosa vuol dire nel dettaglio? In che mese? Con quali altri nuovi dati? Sul quotidiano Domani la responsabile scientifica del Sistema di sorveglianza epidemiologica dell’Ivg, Serena Donati, ha confermato che le tabelle saranno integrate anche con i dati relativi all’obiezione di coscienza, è in programma, anche se non è chiaro quando avverrà. “Ci sono altre questioni, che quella pagina di Iss non racconta, ma che nella nostra mappa emergono, ovvero quelle pratiche spesso illegali portate avanti da personale che magari non si definisce obiettore ma che ostacola la pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza”, aggiunge Mizzoni. “Parlo per esempio dell’ascolto del battito fetale o la non somministrazione di antidolorifici prima di un aborto farmacologico. Nella nostra mappatura abbiamo raccolto anche testimonianze di persone che sono state lasciate ore intere da sole nel momento dell’espulsione, un’indicazione dell’inadeguatezza delle strutture, dove magari la sala d’attesa di chi vuole portare avanti la gravidanza è la stessa di chi va in ospedale per praticare l‘aborto, rendendolo un’esperienza traumatica”. Problemi nella raccolta dati Nel convegno di presentazione del progetto sono emerse altre criticità passate che hanno condizionato la qualità dei dati e che mostrano quanto servirebbe un lavoro coordinato tra tutti gli enti che producono e comunicano le informazioni per avere un quadro completo della reale applicazione della legge 194 in Italia. Per esempio, prima della nuova piattaforma unificata dove oggi arrivano i dati da tutte le regioni, i dati venivano inviati separatamente all’Istituto superiore di sanità e all’Istat, con il rischio di errori e difficoltà nell’analisi. Fino al 2018 era il medico che eseguiva l’intervento a dover compilare il questionario, ma oggi questa responsabilità è gestita in modo diverso da regione a regione e spesso viene delegata ad altre figure professionali, con il rischio di frammentazione, moltiplicazione di passaggi intermedi e possibili errori di codifica della pratica. In molte Asl, inoltre, i moduli digitali non erano aggiornati: ad esempio mancava l’opzione “sedazione profonda”, introdotta nel 2012, e questo ha portato per anni a sovrastimare l’uso dell’anestesia generale. Leggendo gli atti del convegno si percepisce che l’aspetto più positivo del progetto è stato proprio quello di poter analizzare la procedura di raccolta dati per poterla migliorare, ma anche di poter analizzare a che punto è il nostro Paese con l’applicazione della legge: il progetto conferma che “il percorso IVG appare migliorato”, con l’aumento del ricorso al consultorio, e la riduzione dei tempi di attesa tra l’ottenimento della certificazione e la pratica, con un aumento delle procedure effettuate prima delle 8 settimane e quelle farmacologiche, diminuendo le complicazioni che possono influenzare la salute riproduttiva della donna. Ci sono però differenze regionali sull’effettiva possibilità di accedere all’interruzione di gravidanza, e questo si può notare da uno dei grafici presentati al convegno, che racconta chi sono le donne che devono spostarsi all’interno della propria regione o in altre regioni per poter praticare un’IVG: un indizio dell’elevata presenza di obiettori che impedisce di fatto la pratica dell’aborto, come in Molise, in Basilicata, nelle Marche e in Abruzzo. Per Mizzoni, “in un Paese in cui lo stigma nei confronti dell’aborto e in generale sulla salute sessuale riproduttiva è molto forte, un semplice elenco di luoghi pubblicati sul sito dell’Iss senza altre indicazioni specifiche su come funziona l’Ivg e quali sono le esperienze reali delle donne, non restituisce la complessità della situazione, che non è per niente positiva al momento”.

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