Mafia cinese a Prato, la sindaca: “Serve più presenza dello Stato”

Nella notte tra venerdì 18 e sabato 19 aprile, attorno alle 2.40, un uomo cinese è stato ferito a colpi di arma da fuoco alla spalla e al braccio, tra le vie d’ingresso della Chinatown pratese. La notte precedente, nello stesso quartiere, una donna cinese era stata ferita da uno sparo dopo un tentativo di rapina. Tra l’11 e il 12 aprile un altro uomo è finito in ospedale al termine di un’aggressione e il 9 aprile, in due agguati a cittadini orientali, quattro feriti sono rimasti a terra. Sempre a Prato. È il bollettino – solo delle ultime due settimane – di quella che la Procura da anni ormai chiama “guerra delle grucce”, ovvero la faida tra famiglie rivali cinesi per conquistare la fetta più grande del mercato della logistica legata al settore dell’abbigliamento a Prato. E non solo. A Roma, lo scorso 14 aprile, un uomo e una donna di 53 e 38 anni, Dayong Zhang, appartenente a bande organizzate con precedenti di reati contro il patrimonio, e Xiaoqing Gong, sono stati uccisi con almeno dieci colpi di pistola. Una esecuzione che si legherebbe proprio alla “guerra delle grucce” che, secondo gli inquirenti, ha assunto ormai dimensioni europee. Tanto da spingere i procuratori ad auspicare l’istituzione di una Direzione distrettuale antimafia ad hoc. Per i cittadini pratesi, però, non si tratta di una novità. “La cittadinanza è giustamente preoccupata”, ammette a Sky tg24 Insider la sindaca di Prato Ilaria Bugetti. In città, delitti di sangue, violenze ed estorsioni da parte della criminalità organizzata cinese – denuncia la Procura – sono diffusi da anni. Ma le conseguenze della faida, almeno dal punto di vista erariale, sono già rilevanti anche su scala nazionale: il peso della contraffazione, come mancato gettito fiscale, è stimato dalla Procura attorno ai 5 miliardi di euro, ovvero il 2,5% del totale delle entrate tributarie. In questo contesto, l’escalation criminale inquieta ancor più i cittadini pratesi: Zhang Dayong, il 53enne ucciso a Roma, era uno dei collaboratori del boss Zhang Naizhong, già al centro delle indagini toscane sulle faide, considerato al vertice dell’organizzazione e ora sotto attacco. In molte aziende cinesi, poi, i lavoratori sono sfruttati e pagati in nero. Altre, negli ultimi mesi, sono state invece colpite da attentati incendiari. Per far fronte a questi crimini, la sindaca Bugetti chiede al Governo “l’innalzamento del livello della Questura, con maggiori forze”. Tradotto: più polizia per controllare le attività dei clan cinesi. Sindaca, si può parlare di una “guerra” in corso a Prato? Questa è una denominazione della magistratura. E spetta agli inquirenti e alla prefettura dire se sia corretto parlare di guerra. Io, certamente, posso dire che c’è una spartizione del mercato dei cinesi che provoca una lotta tra connazionali. A Prato la comunità e l’imprenditoria cinese hanno una storia ultradecennale. Ma l’attualità ci parla ancora di delitti, lavoratori sfruttati ed evasione fiscale. Cosa non ha funzionato nell’integrazione? Per quanto mi riguarda, l’integrazione è legata alla legalità. Ogni parte ha cercato di svolgere il proprio ruolo in questo. Le associazioni di categoria hanno provato a interloquire con gli imprenditori per far rispettare le regole italiane. Il Comune ha messo in piedi un progetto con la Regione, ormai da oltre dieci anni a questa parte, che prevede di promuovere l’integrazione attraverso le regole: si insegna a fare imprenditoria legale, a non mettere in piedi abusi edilizi o a non costruire dormitori in azienda. E sanzioniamo anche le aziende fuorilegge. Alcune ditte, forse troppo poche, hanno compreso. Altre no. Quante? I livelli di legalità, forniti dalla Asl che segue questo progetto, parlano di un innalzamento del valore dal 23%, quando è cominciato questo progetto, al 63% attuale. Il processo è ancora lungo, ma c’è stato un bel passo in avanti. Ora, però, sembra di assistere a una nuova escalation di violenze che coinvolge anche altre città. Come si vive a Prato? Io chiedo con forza, da tempo, la presenza dello Stato a Prato perché da soli non ce la facciamo. Vogliamo aggredire la parte che non è legale e promuovere le imprese sane del distretto produttivo pratese. Che genere di intervento chiede al Governo? Vogliamo più presenza di forze dell’ordine sul territorio. Quelle che ci sono fanno un lavoro egregio, permettendo alle indagini di consegnare alla giustizia i malfattori in breve tempo. Ma i numeri sono tali che c’è bisogno di più presenza dello Stato. Ne abbiamo bisogno anche per lo sfruttamento del lavoro, che è legato probabilmente alla mafia. L’Ispettorato del lavoro – che controlla i contratti e ricopre un ruolo che spetta allo Stato – conta trenta unità fra Prato e Pistoia. Sono poche. In più, le nostre dimensioni – siamo un Comune da 200mila abitanti – non sono troppo grandi da giustificare un innalzamento di tutti i livelli delle forze dell’ordine, come nelle metropoli, ma neanche troppo piccole visto e considerato il fenomeno mafioso in corso. Per questo, chiediamo da anni un intervento dello Stato. E il Governo ha risposto? Sto aspettando speranzosa. Sono venuti in tanti a Prato, ma ad oggi non ho ancora ottenuto una risposta reale su quello che dovrebbe arrivare in città. Tutto tace.

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