La guerra delle grucce e la mafia cinese, perché interessa a tutti

L’intervista con il Procuratore capo Luca Tescaroli è nel suo ufficio. “Faccia attenzione a quando esce…. Il Palazzo è messo male”. Non è per le condizioni fatiscenti del tribunale che ci vediamo. Nemmeno per la scarsità dell’organico. Ma il contesto è importante se con armi spuntate si ha a che fare con la mafia cinese che adesso uccide anche a Roma. Procuratore, ci spiega cos’è la guerra delle grucce? Nel nostro territorio è in atto una contrapposizione tra gruppi imprenditoriali antagonisti e questa contrapposizione afferisce alla gestione del mercato della produzione delle grucce e al mercato dei trasporti e della logistica. L’escalation criminale è partita dal giugno del 2024 con una molteplicità di delitti, le ragioni sono collegate a più fattori. Uno di questi è riferibile anche a questa contrapposizione imprenditoriale. Quali e quanti sono i gruppi contrapposti? Come funziona il sistema? Ci sono più modelli criminali. In particolare, vi è una imponente attività di importazione di materia prima della Cina che passa attraverso i porti del Pireo, il Porto di Gioia Tauro, un porto slavo e i porti spagnoli. La merce si sposta nell’Europa dell’est, prevalentemente in Ungheria, poi questa imponente quantità viene fatta arrivare in Italia, alla dogana di Prato, attraverso un meccanismo di frode fiscale. L’importazione avviene infatti senza il pagamento dell’Iva attraverso la sospensione d’imposta ed è un primo consistente danno agli interessi del nostro paese. Sono imprese che seguono il meccanismo del cosiddetto “apri e chiudi”. Lavorano per un ciclo produttivo di 2/3 anni, senza il pagamento delle imposte. Quando sono indebitate con l’erario vengono abbandonate e le risorse attive travasate in una nuova compagnia che continua lo stesso meccanismo lavorativo. E per quanto riguarda i profitti? In larga misura, tendenzialmente vengono riportati in Cina attraverso canali differenziati come i bonifici bancari, quelli postali, trasferimenti in contanti, money transfer o addirittura facendo riferimento alle criptovalute. Il denaro viene convertito in monete virtuali, investito in money Exchange europei, ad esempio in Germania, in Liechtenstein, nei paesi dell’ex Jugoslavia, poi trasferito in paesi come le Seychelles e fatto rientrare in Cina, accreditato su conti correnti bancari di Bank of China o di altre strutture bancarie del paese. Questo meccanismo imprenditoriale criminale si regge anche sullo sfruttamento lavorativo, l’elemento catalizzatore e rafforzativo del meccanismo. Gli operai cinesi, pakistani, del Bangladesh, dell’Africa sono linfa vitale per le attività imprenditoriali. Abbattono fortemente i costi e le imprese italiane così non possono competere. Un altro grave danno viene poi alimentato dall’immigrazione clandestina e quindi dalla consistente attività per far arrivare i cittadini stranieri e poterli poi impiegare nelle attività criminose. È una realtà nella quale si sviluppa lo sfruttamento della prostituzione, anche attraverso il ricorso ad atti di violenza. La criminalità cinese tiene rapporti con la ’ndrangheta, con la camorra con la sacra corona unita. Abbiamo una realtà che è estremamente pericolosa che non è conosciuta all’esterno. Portare a processo la mafia cinese non è facile. Io non voglio fare riferimento a procedimenti specifici. Dico solo che gli organici della Procura e del Tribunale, come del resto delle forze dell’ordine, devono essere idonei a fronteggiare questa emergenza. La criminalità del nostro paese è mutata. Non è più quella mafia concentrata su tradizionali gruppi criminali che si erano spinti anche ad aggredire lo Stato e a realizzare azioni terroristiche eversive. Oggi stanno prendendo sempre più piede le realtà criminali straniere, quella cinese, ma anche quella albanese o nigeriana. Bisogna avere la consapevolezza di questo cambiamento. Quindi? Dobbiamo pensare anche a strumenti di contrasto più efficaci, più idonei a questa nuova realtà penso ad esempio alla normativa sui collaboratori di giustizia introdotta nel 1991 destinata ai collaboratori e ai testimoni di giustizia italiani e che ha dimostrato di essere particolarmente importante nelle azioni di contrasto. Sarebbe importante se vi fosse un’estensione di questa normativa anche agli stranieri, in modo da poter fornire le misure di protezione e di assistenza. Lei ha parlato anche di una DDA specifica. In realtà l’idea è stata promossa da due parlamentari del partito di Fratelli d’Italia. Mi sembra una proposta condivisibile anche se queste modifiche strutturali organizzative non sono di competenza del magistrato. Proposte come questa sono il sintomo rivelatore di una sensibilità istituzionale perché dimostrano che ci si è resi conto che c’è una realtà criminale che deve essere contrastata in maniera più efficace di quanto è avvenuto sino ad oggi. Perché non ci preoccupiamo abbastanza di questo fenomeno? La mancanza di attenzione verso i fenomeni collegati alla criminalità straniera è il frutto di una sottovalutazione del pericolosità insita in queste strutture e occorre riflettere su ciò perché non si tratta di profili che attengono esclusivamente a comunità di stranieri, ma incidono direttamente sulla vita del nostro paese in termini di evasione d’imposta, in termini di condizionamento della libera concorrenza, per non dire delle indisturbate e frequenti azioni violente che possono comportare anche il coinvolgimento di innocenti. Non è accettabile che possano essere compromesse le garanzie collettive della sicurezza. Sono tutte ragioni che impongono di ritenere che si tratta di un qualcosa che deve coinvolgere tutti. Lei pensa che quanto sta accadendo negli ultimi giorni, i fatti di sangue che sono avvenuti non soltanto a Prato, ma anche a Roma, potranno cambiare la percezione che noi abbiamo del problema? La coscienza collettiva viene scossa solo quando vi sono fatti cruenti e quando si verificano non solo in un fazzoletto del territorio della provincia pratese. Se le dimensioni dello scontro si estendono ad altre città e ad altre nazioni si catalizza l’attenzione dell’opinione pubblica, degli organi di informazione come delle istituzioni.

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