Come le mafie riescono a produrre l'equivalente del 2% del Pil italiano

Due punti del prodotto interno lordo del nostro Paese sono prodotti dalle mafie. ‘Ndragheta, camorra, cosa nostra. È il dato che arriva dallo studio della CGIA di Mestre che, come ogni anno, stila il resoconto dell’attività produttiva italiana. In linea teorica, il business della criminalità organizzata, si attesta al quarto posto di una speciale classifica che vede al primo posto l’Eni, al secondo posto l’Enel, al terzo le società che gestiscono i servizi energetici e, al quarto posto, le mafie. Fatturati miliardari resi possibili grazie alle imprese conniventi che si prestano a riciclare il denaro, miliari di euro, provenienti dalle attività criminali. Principalmente dal traffico di droga di cui la ‘ndragheta è, di fatto, leader dell’import dai Paesi del Sudamerica. Il porto di Gioia Tauro è la porta dalla quale passano i carichi più grossi gestiti poi dalle famiglie calabresi che esportano il prodotto in Italia e nel nord Europa. Un business sempre più fiorente che ha, però, un limite che è quello del denaro. I miliardi di euro di “fatturato” che arrivano dal traffico di droga hanno bisogno di essere ripuliti per finire nei circuiti legali. Ed è qui che entrano in gioco le imprese conniventi e gli investimenti attraverso prestanome che, in cambio di cospicue somme di denaro, si intestano beni immobili, attività commerciali e ditte. I soldi delle ‘ndrine vengono “ripuliti” principalmente tra il centro ed il nord del nostro Paese. Ristoranti, hotel, negozi di ogni tipo intestati ad insospettabili ma riconducibili, di fatto, alle famiglie mafiose. Un altro campo in cui le mafie riescono a fare soldi è quello delle estorsioni. Se è vero che le denunce da parte di imprenditori, in particolare al sud ed in Sicilia, sono aumentate è anche vero che il modo di estorcere il denaro è cambiato. Non ci sono più, soprattutto al nord, le richieste di denaro per poter essere lasciati, in pace, lavorare. Adesso c’è l’imposizione del personale. Lavoratori vicini alle cosche che devono essere assunti e messi in regola dalle aziende o dalle imprese che, in cambio, non pagano il pizzo. Ma i lavoratori spesso sono fittizi. Non si presentano nemmeno una volta sul luogo di lavoro ma percepiscono mensilmente il proprio stipendio. Un modus operandi più volte portato alla luce grazie alle indagini delle procure italiane, ma duro a morire. Lo studio della CGIA di Mestre ha dimostrato come le estorsioni siano cresciute in zone che, fino a pochi anni fa, non erano interessate al fenomeno. Crescono le richieste ma, per fortuna, aumentano esponenzialmente anche le denunce. Nel giro di dieci anni, infatti, dal 2013 al 2023, a Bolzano e Belluno le denunce di commercianti ed imprenditori sono quintuplicate. Questo vuol dire che le richieste di pizzo da parte di esponenti della criminalità organizzata sono quasi decuplicate. Perché non tutti trovano, purtroppo, il coraggio di rivolgersi alla magistratura e alle forze dell’ordine. Un altro campo in cui le mafie accrescono i loro fatturati è quello dei rifiuti. La “monnezza” è diventata una fonte inesauribile di guadagni e moltissime società private che si occupano della gestione e del riciclo sono spesso riconducibili anche loro a famiglie mafiose. Questo fenomeno è diffuso in tutto il territorio nazionale ma in particolare nel sud Italia dove la questione rifiuti è sempre molto attuale. Un ultimo dato deve fare riflettere, ovvero quello delle città più a rischio infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico sociale. Osservate speciali sono Roma, Napoli, Caserta, Brescia e Milano. Qui, dove evidentemente c’è un giro di denaro molto più importante rispetto al resto d’Italia, il rischio che le mafie continuino a prendere il sopravvento è molto alto. Palermo, Bari e Catania sono sorprendentemente al sesto, ottavo e nono posto.

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