I due giornalisti e podcaster Trincia e Nazzi sono stati i protagonisti dell’incontro conclusivo dell’evento targato Sky TG24, che porta l'informazione in giro per le città italiane e questa volta si è svolto nel capoluogo lombardo, a Palazzo Reale. Presente anche Porrà, giornalista di Sky Sport e storyteller. A dialogare con loro, il vicedirettore di Sky TG24 Omar Schillaci
“Raccontami una storia”. È questo il titolo dell’ultimo incontro di Live In Milano, l’evento targato Sky TG24 che porta l'informazione in giro per le città italiane e questa volta si è svolto nel capoluogo lombardo, a Palazzo Reale (RIVIVI LA GIORNATA). Gli ospiti del panel conclusivo sono stati Pablo Trincia, autore, giornalista e podcaster, Stefano Nazzi, giornalista del Post e podcaster true crime, e Giorgio Porrà, giornalista di Sky Sport e storyteller. A dialogare con loro, il vicedirettore di Sky TG24 Omar Schillaci. Al centro dell'incontro, lo storitelling.
Il racconto di Giorgio Porrà (VIDEO)
“Ho cominciato 20-25 anni fa, pensavo fosse necessario raccontare lo sport in maniera diversa, staccarci in maniera violenta, traumatica, dal moviolismo ossessivo, dalla polemicuccia strumentale. Era necessario andare in un’altra direzione”, ha raccontato Porrà. Poi, riferendosi al “piccolo cult” Lo sciagurato Egidio, ha aggiunto: “In un periodo in cui era possibile sperimentare i linguaggi, fare qualcosa di spiazzante, ho iniziato a pensare a qualcosa di diverso. Ho scelto di fare quello che sto facendo adesso, perché dentro tutti i programmi che ho strutturato dopo si agita l’anima di quel vecchio programma”. “Storitelling sportivo, io odio questa parola perché inflazionata e abusata, significa emozionare con codici e stili linguistici molto diversi tra loro – ha detto ancora Porrà –. Noi di Sky Sport è questo che facciamo, e credo che questa pluralità di voci sia una ricchezza per chi ci segue. Però la struttura della narrazione deve sempre sorprendere, deve coinvolgere emotivamente, deve avere il giusto ritmo e soprattutto deve trasmettere un forte senso di autenticità. Non si può bluffare, non si può romanzare in eccesso, perché chi ci sta guardando spesso ne sa molto più di noi e lo storiteller spesso può essere colto in fallo”.
Ranieri, Herrera, Di Bartolomei, Giuliani
Porrà ha poi raccontato alcune storie. Come quella di Claudio Ranieri: “È un maestro di stile, è stato sorprendente per tutta la carriera. Credo che sia diventato quasi una specie di patrimonio culturale di questo Paese, il nostro miglior biglietto da visita. Ha attraversato un oceano di cambiamenti, rinnovando sempre il metodo ma mantenendo sempre la barra dritta col suo tipo di calcio, bellissimo mix di modernità e tradizione”. Poi un ricordo di Helenio Herrera, l’allenatore che portò l’Inter in cima al mondo, e di Agostino Di Bartolomei, il capitano della Roma di Liedholm che vinse lo scudetto nel 1983 e si uccise con un colpo di pistola a 39 anni. “Era un capitano atipico, un giocatore strano. Si confrontava con gli arbitri con le mani dietro la schiena. Lui giocava per declinare al meglio i suoi valori anche nello sport”, ha spiegato Porrà. Anche il racconto di Giuliano Giuliani, il portiere più vincente nella storia del Napoli. “La sua storia è rimasta oscenamente dimenticata, sommersa. Perché è morto di Aids, unico calciatore italiano”, ha ricordato Porrà. Infine, il ricordo dell’abbraccio tra Vialli e Mancini all’ultimo Europeo: “Il nostro Europeo riparte da lì, dalla forza meravigliosa di quell’istante. Luca ci ha lasciato una grande lezione: sbucciare la vita e prendere l’essenziale”.
vedi anche
Live In Milano, Nicoletta Manni: "Inseguire sempre i propri sogni"
Il racconto di Nazzi (VIDEO)
Sul palco, poi, è salito Nazzi. Ha raccontato della sua infanzia a Milano. “Ero uno studente terrificante”, ha confessato. E ha ricordato: “Incontro il giornalismo perché ho sempre avuto la passione per le notizie, anche da ragazzino la cosa che mi piaceva di più guardare in tv era il telegiornale e i programmi d’approfondimento. Mi affascinano le cose che succedono”. Poi ha raccontato il momento in cui è arrivata l’idea del podcast Indagini: “Il Post iniziava a fare i suoi podcast, era nato Morning di Francesco Costa. Un giorno in redazione ci siamo visti e gli ho detto: ‘Perché non facciamo un podcast che racconti casi di cronaca, rimettendoli in ordine?’. E lui mi ha fatto vedere un appunto che aveva in cui c’era scritto: ‘Parlare con Stefano di un podcast di casi di cronaca’. È stato tutto molto semplice, veloce, senza tanti pensieri e strategie, buona la prima”. Nazzi ha poi svelato quando ha capito che Indagini stava andando bene: “Un giorno ero in un bar sotto casa mia, ho chiesto un caffè e ho visto uno che si immobilizzava per la mia voce. Lì ho capito che iniziava a diffondersi la cosa, poi è stato un crescendo. Non mi sarei mai aspettato questo successo, che uscissi dai confini del normale podcast del Post, anche se ero convinto di aver fatto un buon lavoro, un lavoro che c’era poco in quel modo in Italia”. Nazzi, dopo aver assicurato che ci saranno altre puntate del podcast, ha raccontato la storia di tre criminali di Milano: Renato Vallanzasca, Francis Turatello e Angelo Epaminonda.
vedi anche
Live In Milano, Gino Cecchettin: non possiamo accettare femminicidi
Il racconto di Trincia (VIDEO)
Infine, sul palco di Milano è arrivato Trincia. “Stiamo lavorando a un progetto, la storia di Rigopiano. Davvero molto faticoso, ma un lavoro incredibile e molto bello”, ha svelato. “Sono un melting pot, sono mezzo italiano e mezzo iraniano, sono nato in Germania est, ma poi per caso mio padre è finito a Milano e da quando avevo 4 anni vivo qui”, ha raccontato. Trincia parla sette lingue oltre all’italiano: inglese, francese, spagnolo, tedesco, lingue africane, turco, hindi. "Le lingue sono come delle macchine, devi accenderle e farle andare, altrimenti te le dimentichi. È un modo di tornare in quei posti. E quando parli le altre lingue ti trasformi", ha spiegato. Trincia ha poi confessato: “Ero un pessimo studente, l’ultimo della classe. Sono stato bocciato al quarto anno, sono uscito col voto più basso”. E quando ha capito che gli piaceva raccontare storie? “L’ho capito – ha risposto – perché quando partivo, in Africa, in India, avevo una piccola mailing list e raccontavo quello che mi succedeva, come un piccolo diario. Lì ho capito che era una cosa che mi veniva naturale, era divertente, ci lavoravo. Poi è successo quasi naturalmente, è qualcosa che ho scoperto e non qualcosa che ho sempre avuto. Non pensavo che avrei fatto questo”. Riguardo a quale storia gli abbia fatto capire che voleva fare questo nella vita, Trincia ha risposto: “A sangue freddo, di Truman Capote. Tutti quelli che vogliono fare il nostro mestiere dovrebbero leggere questo libro, perché ti spiega come si raccontano le storie, la tecnica. Quando l’ho letto mi sono illuminato, ho detto: ‘Io devo fare queste cose qui’”.