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Omicidio Matteuzzi, i giudici: "Il movente nel desiderio di vendetta"

Cronaca

La motivazione della condanna all'ergastolo per Giovanni Padovani, che uccise l'ex compagna a colpi di martello sotto casa il 23 agosto 2022. Per i giudici "fu un agguato preparato".  La perizia lo aveva valutato capace di intendere e di volere

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La Corte d'Assise di Bologna ha scritto le motivazioni della sentenza di condanna all'ergastolo per l'ex calciatore 28enne Giovanni Padovani, responsabile del delitto dell'ex compagna 56enne Alessandra Matteuzzi avvenuto lo scorso 23 agosto 2022 sotto la casa in cui viveva la donna, in via dell'Arcoveggio. Per i giudici presieduti da Domenico Pasquariello "è improprio attribuire l'omicidio" della donna "ad una insana gelosia dell'imputato, la quale, semmai, costituì il movente del delitto di atti persecutori, mentre l'omicidio fu motivato da un irresistibile desiderio di vendetta, uno tra i sentimenti più irragionevoli, eppure imperativi". La Corte, quindi, esclude "l'omicidio d'amore", specificando che si tratta di un "omicidio d'onore sia pure in una malintesa accezione di quest'ultimo".

I giudici: "Si è trattato di un vero e proprio agguato"

Dalle testimonianze raccolte, scrive ancora la Corte d'assise, "emerge la prova dell'ideazione da parte dell'imputato di un proposito vendicativo" nei confronti dell'ex compagna, "manifestato fin da giugno e nel luglio 2022 con estrema lucidità, come si può cogliere dal richiamo consapevole alle conseguenze di tale gesto ovvero alla possibilità di andare in carcere".  I giudici parlano di "un vero e proprio agguato preparato nelle sue linee essenziali di azione". La Corte ha aggiunto che "deve ritenersi acquisita la prova che la condotta omicidiaria non sia stata determinata da un mero moto d'impeto ma sia maturata e si sia progressivamente radicata negli intenti dell'omicida, sia stata persino preannunciata nelle confidenze fatte a terzi e alla madre nelle annotazioni sul cellulare, e poi attuata secondo un piano predeterminato, comprensivo della scelta dell'arma da usare e del luogo in cui colpire".

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"Controllo maniacale e frustrazione"

Nel processo, spiegano ancora i giudici, è emerso "il carattere ossessivo-maniacale delle forme di controllo che l'imputato attuava nei confronti della compagna e come fosse stato spinto da una forza irresistibile, ingenerata da un sentimento di rancore e da un senso di frustrazione, a ritornare a Bologna per assassinarla".  La Corte poi descrive il comportamento di Padovani, dichiarato capace di intendere e di volere da una perizia psichiatrica, accertamento cruciale nel processo, come "una messa in scena". I giudici ritengono, si legge sempre nella motivazione della sentenza pronunciata il 12 febbraio, "che le bizzarrie comportamentali dell'imputato, talora anche grossolanamente enfatizzate, seguite sovente da prese di posizione invece consapevoli e responsabili, soprattutto negli snodi decisivi del processo, le risultanze dei test, con risposte sbagliate anche alle domande più banali e infine l'asserzione di una tardiva insorgenza di sintomi psicotici, forniscano indicazioni che sembrano coniugarsi tra loro soltanto nella prospettiva di una intenzionale messa in scena dell'imputato". La perizia psichiatrica aveva concluso che in alcuni casi l'imputato avesse simulato sintomi psicotici. E anche le ultime dichiarazioni spontanee, in aula proprio il 12 febbraio, secondo la Corte confermano l'ipotesi che Padovani "abbia simulato consapevolmente determinati atteggiamenti". 

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