"Sangue loro", chi è Hassan, il ragazzo mandato a uccidere

Cronaca
Claudia Torrisi

Claudia Torrisi

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Nel settembre del 1985 una bomba viene lanciata nella sede della British Airways di via Bissolati, a Roma. A lanciare l’ordigno è un ragazzino di 15 anni, ingaggiato da Abu Nidal e mandato in Italia con lo scopo di uccidere e seminare il terrore. Anche di lui parla il nuovo podcast originale Sky di Pablo Trincia, al quale Hassan si è raccontato. “Rivivere alcuni momenti per lui è stato difficile, è stato un ripercorrere una storia che lui vorrebbe dimenticare”, ha detto il giornalista a Sky TG24

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Roma, negli anni ‘80, vive una stagione di terrorismo di matrice mediorientale. Dietro l’organizzazione degli attacchi ci sono gruppi palestinesi che intendono richiamare l’attenzione sul conflitto in corso contro lo Stato di Israele. L’attentato di Fiumicino del 1973, quello alla Sinagoga del 1982, un secondo attacco all’aeroporto il 27 dicembre 1985, sono solo alcuni degli episodi che scuotono l’Italia in quegli anni. Alcuni mesi prima attentati ripetuti fanno piombare nel terrore quello che viene ribattezzato il “triangolo delle bombe”, un’area delimitata da via Veneto, via Barberini e via Bissolati, dove avevano sede molte compagnie aeree e ambasciate. Il 25 settembre ad essere colpita è la sede della British Airways: la vittima è Raffaella Leopardo, l’attentatore è Hassan. E’ lui il protagonista di “Sangue loro - Il ragazzo mandato a uccidere”, nuovo podcast originale di Sky Italia e Sky TG24, realizzato da Chora Media, scritto da Pablo Trincia e Luca Lancise. 

La storia di Hassan

Nel 1985 Hassan è ancora un ragazzino di 15 anni, ma la sua storia inizia molti anni prima. Viene dalla Palestina e, ancora bambino, diventa un combattente in Libano. Viene rapito dal gruppo terroristico Abu Nidal e poco dopo diventa un "agente estero". Una delle prime tappe è l'Italia: la missione è lanciare una bomba all'interno della British Airways di via Bissolati. “Se hai 15 anni e finisci a fare l'attentatore per Abu Nidal vuol dire che hai un passato da militare. Hassan era un ragazzino che sapeva confezionare esplosivi…”. A raccontare la sua storia a Sky TG24 è Pablo Trincia che, con Hassan, ha passato molto tempo e scambiato lunghe conversazioni. Dopo l’attacco alla British Airways del 25 settembre 1985 Hassan prova a scappare ma viene fermato e arrestato. Passa in carcere 15 anni e, una volta libero, riesce a rifarsi una vita: diversi lavoretti, una famiglia, dei figli. Frequenta centri sociali a Roma ed è molto attivo a livello di incontri sulla Palestina, terra nella quale non ha mai più fatto ritorno. “Questa  - spiega Trincia - è una delle cose che lo fa soffrire di più: non poter tornare indietro, non poter rivedere la sua famiglia, non poter tornare nei luoghi dell’infanzia ed essere sostanzialmente apolide”.

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Il primo ad avere contatti con Hassan è stato Luca Lancise, co-autore del podcast. Fin dall’inizio si è dimostrato “gioviale e loquace, ha voglia di raccontare, di raccontarsi: il suo è un racconto da film, dà risposte molto dettagliate, molti aneddoti”, dice Pablo Trincia. Quando si affrontano storie come questa, avere una voce diretta è molto importante, così come lo è instaurare un rapporto di fiducia che vada al di fuori della stanza con il microfono. I racconti di Hassan sono molto precisi e veritieri, confermati dai libri di storia, dagli articoli di giornale e dalle informative dei servizi segreti. I suoi ricordi però, talvolta, si sovrappongono e diventano confusi, come quando parla dell’ultima volta in cui ha visto sua madre. E’ successo poche ore prima del massacro nei campi profughi di Sabra e Shatila, in Libano, tra il 16 e il 18 settembre 1982. L'eccidio venne compiuto dalle Falangi libanesi e dall’Esercito del Libano del Sud che, per vendicare l’omicidio a Beirut del presidente cristiano maronita Bashir Gemayel, uccisero un numero indefinito di civili palestinesi e sciiti libanesi, compreso fra 762 e 3.500. Proprio nell’area di Shatila viveva in quel periodo la famiglia di Hassan che, seguendo le orme di suo padre, già dalla fine delle scuole elementari era diventato un giovane combattente dell’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina). Quando nel villaggio inizia a spargersi la voce dell’imminente arrivo dei falangisti, la madre di Hassan manda via lui e alcuni fratelli, facendoli rifugiare al confine dei campi con le forze armate palestinesi. Lei e altri fratelli ancora piccoli restano in casa e Hassan non li rivedrà più. “Rivivere alcuni momenti per lui è stato difficile”, racconta Pablo Trincia. “E’ stato un ripercorrere una storia che lui si vorrebbe dimenticare”. E’ in questi campi profughi che Hassan viene fatto prigioniero e poi reclutato dall’organizzazione terrorista di Abu Nidal. Dalla base militare libanese viene mandato a Damasco, diventa un “agente estero” e gli vengono affidate alcune missioni. Poco tempo dopo viene mandato a Roma: l’obiettivo è la sede della British Airways di via Bissolati.

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Quando il 15enne Hassan lancia la bomba alla British Airway di via Bissolati, il 25 settembre 1985, all'interno dell'ufficio c’è Raffaella Leopardo, dipendente della compagnia aerea, moglie e madre di due bambini. La donna morirà pochi giorni dopo a causa delle ustioni riportate. Oggi Hassan è consapevole di ciò che ha fatto: “Io credo - dice Pablo Trincia - che lui psicologicamente sia sempre stato molto legato al discorso dell’‘io ero un combattente, ho fatto quello che mi veniva detto’. Si dispiaceva per quello che era successo ma era un dispiacere molto razionale e non emotivo”. E’ qui che la vita di Hassan si intreccia però con quella di Daria Bove, la bambina rimasta orfana di madre per causa sua. 

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Hassan e Daria Bove

Gli autori del podcast hanno detto ad Hassan di essere in contatto con Daria, quella bambina ormai adulta, e gli hanno chiesto se volesse conoscerla. “Lui lì è crollato - racconta Trincia - Abbiamo dato un contorno, la vittima non era più un’ombra, e lui ha avuto un crollo. E’ la prima volta che lo senti vacillare e gli crollano le difese. Io penso che il suo sia un pentimento sincero: vorrebbe tanto incontrare Daria Bove, poterle chiedere scusa e poter andare sulla tomba della madre”. Hassan sa cosa ha fatto e prova dolore ma, dall’altra parte, “è anche conscio che lui in quel momento era un agente del destino: non l’ha uccisa perché voleva ucciderla o perché pazzo ma perché gli era stato ordinato ed era stato indottrinato. Lui si tiene così aperta quella porta della coscienza che gli ricorda che non è stato un atto di odio o di follia. Tant’è che anche lui poi si rende contro che la sua organizzazione lo ha mandato a morire e poi lo ha abbandonato”. L’incontro tra le due voci protagoniste di questo podcast rappresenterebbe un cerchio che si chiude. Non è ancora avvenuto e non sappiamo se succederà mai: “Io penso che succederà - confessa Trincia - ma è assolutamente il mio parere personale. Penso di sì perché sono due persone che anche grazie a questo racconto stanno facendo pace con quanto accaduto”.

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