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Game over Matteo. Finiva, un anno fa, la latitanza di Messina Denaro

Cronaca

Fulvio Viviano

©Ansa

Si cerca il tesoro del padrino. La cassaforte potrebbe essere in Svizzera. Intanto continua la caccia ai suoi favoreggiatori

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Sembrava un fantasma, inafferrabile. Alcuni dicavano che fosse morto. Invece Matteo Messina Denaro era vivo e si nascondeva a casa sua. È  stato arrestato esattamente un anno fa, dopo una latitanza durata 30 anni. A “tradirlo” la sua malattia. Un tumore al colon che lo ha poi ucciso pochi mesi dopo il suo arresto. Di fronte alla malattia gli uomini diventano tutti uguali. Non c’è blasone criminale che tenga. Curarsi era l’unica via. E lui lo ha fatto credendo che, anche questa volta, l’avrebbe fatta franca. Ha usato il nome di un suo fiancheggiatore, Andrea Bonafede. Ma non è bastato. I carabinieri del ros sapevano che il boss era malato. Lo avevano scoperto sequestrando un “pizzino” a casa della sorella durante un blitz segretissimo. Poi è stato tutto un lavoro di intelligence.

L'arresto

Il 16 gennaio del 2023 Matteo Messina Denaro era andato in clinica per sottoporsi alla chemio ed è in quel momento che è scattato il blitz dei militari. Il resto è storia.

Dal momento del suo arresto il boss, interrogato dai magistrati della Dda di Palermo Maurizio De Lucia e Paolo Guido, non ha reso dichiarazioni. Ha fatto solo parziali ammissioni su alcuni episodi marginali della sua vita criminale, ma una cosa ha tenuto a dirla, si è scrollato di dosso l’accusa di aver ordinato l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. “Io, con questo, non c’entro nulla” si è limitato a dire. Poi il silenzio, rotto soltanto per dire che lui non avrebbe “infamato nessuno”, lui non si sarebbe mai pentito. E non si è pentito fino al giorno della sua morte, il 25 settembre scorso.

approfondimento

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La latitanza

Nei suoi covi è stato ritrovato tanto materiale utile alle indagini. Centinaia di “pizzini” ma anche i suoi diari intimi. Quelli in cui scriveva i suoi pensieri dedicati alla figlia Lorenza, mai vista durante la latitanza e conosciuta solo dopo il suo arresto. 

Decine di suoi fiancheggiatori sono finiti in manette in questi anni. Gente che gli ha consentito di vivere nell’ombra, protetto. Ma c’è un livello più alto sul quale indagare. 30 anni di latitanza sono tanti e non può essere stato aiutato solo dai mafiosi. Di questo sono convinti gli inquirenti che continuano a lavorare in silenzio.

Si cerca il tesoro del boss, per questo è stata avviata una rogatoria internazionale in Svizzera. Lì, secondo i magistrati, ci sarebbe la cassaforte del boss che ha maneggiato milioni e milioni di euro per conto di cosa nostra.

Adesso cosa nostra, almeno ufficialmente, non ha un capo. L’unico latitante che potrebbe, per blasone criminale, essere a capo della cupola è Giovanni Motisi che è stato a capo della famiglia mafiosa dei Pagliarelli. Ma di lui, non si sente parlare da anni. Non una traccia, non una intercettazione. Sembra essere sparito nel nulla da 25 anni. C’è chi dice che sia morto, ma lo dicevano anche di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro. Che adesso sono morti, ma non da latitanti.

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