Violenza donne, la poliziotta stuprata: "La mia battaglia anche per chi non c'è più"

Cronaca
Gaia Bozza

Gaia Bozza

La storia di Alessandra Accardo, la poliziotta napoletana stuprata e quasi uccisa l'anno scorso mentre, terminato il suo lavoro, stava per tornare a casa e prendeva l'auto parcheggiata all'interno del porto di Napoli. La sua testimonianza per aiutare le altre donne e per "dovere verso le vittime che non ci sono più. Sono una sopravvissuta e se passeggio, se sorrido, lo faccio anche per chi non è più qui"

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Alessandra Accardo è la poliziotta che un anno fa è stata violentata e quasi uccisa mentre, uscita dal lavoro, prendeva l’auto parcheggiata nel porto di Napoli. Il suo aggressore, poi arrestato e condannato a 14 anni di reclusione, l’ha picchiata ferocemente colpendola anche alla testa. E’ stata ricoverata all’ospedale Cardarelli. Oggi, nella “casa per sé” della Questura di Napoli, un ambiente protetto per ascoltare donne e minori vittime di violenza, decide di raccontare la sua storia a Sky Tg24. E lo fa per provare ad aiutare, a sensibilizzare. Non è stato affare semplice, decidere di mostrarsi. Per tante ragioni, anche legate alla delicatezza dell’argomento, ai tabù che ancora ci sono e alla cultura maschilista che ancora si insinua in certi giudizi sussurrati. Decide di farlo perché “bisogna che loro (gli aguzzini, ndr) si vergognino, mentre le vittime non devono vergognarsi mai”.

Il racconto

Le chiediamo di parlare di ciò che vuole, nei termini in cui vuole. E’ lei a scegliere di ripercorrere sinteticamente, ma con parole ruvide ed efficaci, cosa accadde il 20 ottobre 2022, a mezzanotte circa. Ha appena terminato il suo turno di lavoro al commissariato, è tardi, sta per tornare a casa. Attraversa la strada e si dirige all’interno del porto di Napoli, dove ci sono alcuni stalli dedicati alle auto del personale di polizia. Ma d’improvviso, si materializza l’incubo. “Mi sono imbattuta in questa persona che non conoscevo – ricorda -  improvvisamente, stavo per entrare in macchina, mi ha detto tranquillamente che voleva abusare di me. E’ iniziata una colluttazione e per tutto il tempo ha cercato di ammazzarmi, poi è arrivato al suo obiettivo, quello di violentarmi”. Venti lunghissimi minuti: a salvarla, l’arrivo di un camionista che è intervenuto in sua difesa. Se non fosse arrivato nessuno, forse oggi Alessandra non sarebbe qui a parlarne. Viene portata in ospedale, dove viene accolta dal personale nel “percorso rosa”. “Una volta arrivata in ospedale – racconta -  mi hanno tenuta in un posto riservato, non ero insieme agli altri pazienti. Con me c’era una collega, che mi è stata vicino per tutto il tempo, e poi mia cugina, non ho avuto il coraggio di chiamare i miei genitori in quel momento”.

Il rientro al lavoro

Un dolore immenso da elaborare, un compito difficilissimo per la giovane Alessandra, che però riesce persino a tornare al lavoro dopo soli tre mesi. Lo fa per amore del suo lavoro, ci dice, ma anche per sé e perché vede intorno a lei le persone care soffrire molto per quanto accaduto. Un tentativo di voltare pagina, ricominciare dove tutto si era drammaticamente interrotto, spezzato da una violenza cieca. Utilizza la parola “sopravvissuta”: “Ero sopravvissuta a questa storia – scandisce -  quindi volevo che tornasse tutto come prima, anche se sapevo che quello che c’era stato mi ha segnato inevitabilmente per sempre”.

Essere una sopravvissuta

Lo dice senza giri di parole: "Essere una sopravvissuta significa che io vado avanti, a volte, anche in nome di persone che non ci sono più perché è come un dovere, l’ho subita anche io quella cosa, però io sono viva, e quindi per rispetto di tante donne che purtroppo non ci sono più per mano di uomini sbagliati, mi dico che se oggi passeggio e sorrido lo faccio anche per te".  Alessandra, in questo periodo, ha incontrato altre vittime, sopravvissute come lei a vari tipi di violenza: "Ho incontrato ragazze che a distanza di anni  non sono mai riuscite a denunciare e questa è una cosa triste – racconta - ma purtroppo spesso non si trova approvazione nelle famiglie; voglio dire a queste donne che in realtà non sono sole, sul territorio ci sono associazioni e istituzioni che possono dare un supporto vero e sincero”. Le sue parole di incoraggiamento vengono da un percorso arduo di ricostruzione, attraversando i traumi di quella sera, ma ora c’è una luce alla fine di quella notte.  

Il futuro dopo l’incubo

“Se mi guardo indietro vedo un passato che ormai non esiste più perché da quel giorno tutto è cambiato, è inevitabile; vedo un futuro che sarà diverso, anche ugualmente bello, perché questa persona non può danneggiare la mia serenità o la mia voglia di vivere. Ho sempre avuto un’immensa voglia di vivere e non ho mai permesso che questa persona me la togliesse”. 

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