Femminicidi, dove siamo nella lotta alla violenza di genere?

Cronaca
Ketty Riga

Ketty Riga

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L’Italia è terza in Europa per numero assoluto di donne uccise dall’ex compagno. Le misure introdotte dal codice rosso restano insufficienti e denunciare è difficile. L’unico antidoto alla violenza sessuale – dice Massimo Recalcati - è l’alfabetizzazione all’amore. Il tema è approfondito nella seconda puntata di “Dove siamo: 20 anni di notizie per raccontare il Paese”, curato e condotto da Ketty Riga, che Sky TG24 dedica alle storie che hanno segnato gli ultimi decenni italiani

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Gli uomini che odiano e possono uccidere le donne non sopportano la loro libertà. Non ha dubbi Massimo Recalcati, piscoanalista e scrittore, quando prova a darci una spiegazione sul perché tanti ex compagni, mariti, fidanzati uccidono le donne che invece avevano promesso di amare (QUI LA PRIMA PUNTATA, DEDICATA ALLA 'NDRANGHETA).

Dove siamo nella lotta alla violenza di genere?

La libertà della donna – aggiunge Massimo Recalcati – mette sottosopra ogni idea di proprietà. Ed è questa l’essenza del maschilismo: pensare che una donna sia un oggetto o per citare Giovanni Verga che la donna sia roba mia. Ecco perché quando una donna vuole interrompere una relazione, rifarsi una nuova vita, quando si rifiuta di avere un rapporto sessuale, davanti a tutto questo, l’uomo si sente autorizzato ad esercitare il suo diritto di proprietà. E l’efferatezza e la brutalità con cui spesso gli uomini si scagliano sul corpo delle loro vittime è per dimostrare che la donna non è libera, ma è un oggetto, è carne. E di questo oggetto e di questa carne io uomo posso fare ciò che voglio. Quindi difronte alla fine di un amore – conclude Massimo Recalcati - l’uomo ha due possibilità: o si assume la responsabilità di questa perdita ed elabora il lutto, oppure scatta il meccanismo del ricorso alla violenza.     

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Femminicidio, il perché di una parola

Un’idea di possesso della donna che ritroviamo nel significato del termine femminicidio, entrato nell’uso corrente in Italia soltanto negli ultimi dieci anni e sul quale persistono molte resistenze, quasi fosse immotivato distinguere un delitto in base al sesso della vittima. Ma la parola femminicidio – chiarisce la sociolinguista Vera Gheno – indica non solo l’uccisione di una donna in quanto tale, ma in quanto donna di qualcuno. Dunque, un’idea di possesso scolpito nel significato della parola. 

Violenza di genere, norme insufficienti

A differenza di altri paesi come Malta, Cipro e Croazia, in Italia non è ancora stato introdotto il reato di femminicidio. Bisogna tornare al 2009 per trovare nel nostro ordinamento l’introduzione del reato di stalking, soltanto nel 2017 la costituzione della prima commissione parlamentare sul femminicidio e nel 2019 l’approvazione di un pacchetto di misure – il cosiddetto Codice Rosso poi rivisto di recente – volto ad accelerare l’iter processuale che dovrebbe seguire ad ogni denuncia di violenza di genere per proteggere davvero le donne. 

 

Un meccanismo che negli anni ha però mostrato molte fragilità ed incompetenze, generando quel clima di sfiducia nel sistema giudiziario che porta – ancora oggi – le donne a non denunciare le violenze che subiscono. Gli ultimi dati della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio ci dicono infatti che il 63% delle donne uccise non aveva mai denunciato gli abusi e i soprusi da parte del compagno.  

Il calvario delle donne nel denunciare

Denunciare è difficile - ci spiega Francesco Menditto a capo della Procura di Viterbo da sempre in prima linea e all’avanguardia nel contrasto ai reati di genere – perché per le donne inizia un vero e proprio calvario: spesso non vengono credute, si scarnifica la loro vita, sono sottoposte a domande che alludono alla lore esperienze sessuali, si chiede loro perfino come erano vestite.  Quando una donna sporge denuncia per maltrattamenti immediatamente inizia l’esame su di lei e sulla sua vita, e la donna da vittima diventa “imputato”: cosa ha fatto per evitare la violenza? perché è andata in quel luogo perché non è stata comprensiva verso quell’uomo che tornava a casa geloso, ubriaco, disoccupato? Forse doveva abbassare i toni ed essere più comprensiva. E alcune sentenze – prosegue il Procuratore Menditto – sono imperniate di questi pregiudizi. E tutto ciò accade persino nei processi per femminicidio, dove le donne non possono difendersi perché morte. E purtroppo, importanti dati ci dicono che gran parte degli italiani ritiene che una donna che ha subito violenza se la sia cercata. 

 

Violenza di genere, alfabetizzazione unico antidoto

Le tante donne uccise o stuprate nel nostro paese, non sono più un’emergenza, ma fanno parte di un problema sistemico e strutturale perché funzionali alle logiche del sistema di potere maschile – il patriarcato – che nei secoli ha permeato la cultura e le relazioni. Un problema che occorre quindi combattere su più fronti. L’insieme di misure più rigide e incisive insieme a pene certe in materia di violenze di genere da sole non bastano. 

 

La violenza sulle donne è una barbarie sociale – ha ricordato di recente il Capo dello Stato Sergio Mattarella – che richiede un'azione più consapevole di severa prevenzione, concreta e costante. A questa si deve affiancare, nell'intera società, un impegno educativo e culturale contro mentalità distorte e una miserabile concezione dei rapporti tra donna e uomo".

 

L’unico antidoto alla violenza sessuale – conclude Massimo Recalcati - è l’alfabetizzazione all’amore e ai sentimenti: a scuola con la cultura, in famiglia con l’esempio e la testimonianza. Io marito in che maniera entro in relazione con mia moglie? Oppure che comportamento adotto nel rapportarmi con le donne di casa? Infine, c’è una sola condizione per essere uomini che non odiano le donne: interrogando il maschilista che ogni uomo porta dentro di sé. Solo così avrebbe più possibilità di comprendere la libertà dell’ex compagna e capire che quando una “donna dice No è No”. 

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