Combattere il cambiamento climatico passa anche attraverso le nostre scelte alimentari. Barbara Bernardini, autrice di “Dall’orto al mondo: piccolo manuale di resistenza ecologica”, dà alcuni consigli per uno stile di vita più rispettoso dei ritmi della natura
“Ho un piccolo orto, che è un po’ il mio rifugio”. Barbara Bernardini lavora nel mondo dell’editoria, abita ad Aprilia, nell’Agro pontino, non molto lontano da Roma. La sua casa è avvolta dall’odore delle piante spontanee che crescono ai lati dell’asfalto, intatto per il raro passaggio di automobili.
“Quello è il mio bisnonno” dice indicando una foto in bianco e nero di un uomo anziano, con la pelle segnata dal sole e le mani ruvide di terra, in piedi in campo arato accanto a suo figlio.
Barbara sa tutto del passato contadino della sua famiglia, che due generazioni fa si è trasferita da un piccolo villaggio vicino Camerino, nelle Marche, nella pianura pontina in cerca di fortuna ma senza abbandonare il profondo legame con la terra.
È nel periodo di isolamento causato dalla pandemia che Barbara decide di approfondire il suo percorso di ritorno alle radici.
Cos'è la resistenza ecologica
“Dall’orto è iniziata la mia resistenza ecologica, che secondo me significa sgomberare il futuro e il nostro tempo da quello che è un sistema produttivo e un modo di vivere che sta occupando le possibilità di vita sulla terra”.
Un gesto che Barbara definisce "piccolo, però, è dove ho imparato a riprendermi il tempo, a riprendere un ritmo che è più lento, a ritornare un po’ alla radice delle cose, materialmente la radice delle cose, la radice di quello che mangiamo”.
Secondo la rivista Science, la coltivazione industriale di prodotti agroalimentari che servono per il nostro sostentamento produce il 27% delle emissioni totali che arrivano dall’intera filiera del cibo. A questo poi vanno aggiunte tutte le emissioni derivanti da lavorazione, trasporto, imballaggio e vendita al dettaglio.
Secondo la scrittrice “L’orto, come prendersi cura anche solo di una pianticina sul balcone, insegna un nuovo senso del tempo e dell’attesa perché non puoi accelerare. Tu lasci fare alla natura e ai tempi della pianta, devi anche assecondarli, e devi anche imparare che c’è un’attesa che non può essere accorciata, e che devi imparare ad accettare, che ci sono degli errori e delle cose che non vanno come ti aspettavi, e anche questo devi imparare ad accettarlo”.
Piantare semi, prendersi cura delle piante e raccoglierne i frutti è il manifesto di una vita più lenta e più rispettosa dei tempi della natura. Non tutti però abbiamo modo di coltivare ciò che mangiamo ma non per questo non possiamo prendere parte alla resistenza ecologica.
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Preferire la filiera corta
“I miei consigli per chi non può fare un orto, o per chi banalmente non ha voglia di farlo, è comunque di fare attenzione al cibo, alla sua provenienza, a come è stato prodotto, a come è arrivato sulla nostra tavola. Cominciare a fare un’attenzione che ci porta a non sprecare e a fare delle scelte di acquisto che sono sicuramente migliori”. Un’attenzione che inizia dal privilegiare prodotti che provengono dal territorio. “Significa non soltanto avere dei prodotti più sostenibili, perchè c’è una filiera più breve, quindi, minori costi di trasporto, minori consumi anche proprio per la conservazione. Significa sostenere anche delle realtà più piccole che lavorano a contatto con la terra, a contatto con le specificità di quel territorio, quindi, recuperano magari delle varietà che lì si coltivavano perché sono più resistenti, magari si possono coltivare con un risparmio idrico maggiore. Sono più sostenibili da tutti gli aspetti”.
Un esempio da considerare secondo Barbara è il pomodoro siccagno. “È un metodo di coltivazione che in Sicilia si fa da tantissimo tempo e che ora si sta recuperando, proprio perché la siccità impone di pensare dei modi alternativi di coltivazione che non sono solo quelli dell’agricoltura intensiva, che ci dà varietà più standardizzate ma con un grande impiego sia dal punto di vista delle risorse idriche, sia degli interventi che sono necessari sul terreno”.
È vero, ammette Bernardini, che alimenti del genere possono avere un costo maggiore rispetto a quelli che provengono dalla grande distribuzione. “ Ma soltanto se non consideriamo sugli altri i costi ecologici, ambientali e sociali che hanno. Perché, comunque, prima o poi, quel costo ci arriverà, prima o poi il costo di un territorio che viene devastato e delle risorse idriche che vengono utilizzate in maniera intensiva lo pagheremo”.
Attenzione al calendario
“Un’altra cosa semplice è scegliere frutta e verdura di stagione: se siamo ad aprile, è inutile cercare già le melanzane, che invece saranno un prodotto di piena estate. È preferibile scegliere le varietà che sono di questo momento come gli asparagi, i carciofi, piselli, le fave perché hanno ovviamente una filiera più corta. Le possiamo produrre qui, all’aperto, con il clima che c’è, senza doverlo ricreare in serra e senza doverle produrre in Paesi più lontani e poi trasportarle fin qui. In questo senso, semplicemente, abbiamo prodotto un impatto minore sulla Terra”.
Riallacciare i legami
Scegliere di comprare da un piccolo produttore vuol dire anche “fare rete, rientrare in comunità, trovare dei legami con le persone sul territorio. Consumare dei prodotti coltivati nel territorio è un modo per conoscerlo meglio, conoscere le persone che ci vivono e anche quelle che si stanno attivando per reagire alla crisi climatica, a reagire a quello che sta avvenendo. Significa fare comunità e riaprirsi un po’ ai legami che possiamo costruire”.