Noi, la carne, i bambini e le politica che scherza con il fuoco

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

Le autorità sembrano incapaci di capire qual è la vera posto in gioco, anche educativa, nel rapporto tra noi e il cibo che consumiamo. Il cibo, la sua provenienza, soprattutto quello animale, rappresenta un buco nero nel nostro rapporto coi bambini, custodi di memorie toccanti sul loro rapporto con le creature viventi non umane, ricordi che sopravvivono al tempo e finiscono tra le cose che annoto quando un paziente mi racconta della propria infanzia, degli eventi che avevano scolpito la sua visione delle cose

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Vasco aveva settant’anni, era un contadino dalle mani ruvide, un uomo solido. Mentre chiacchieravamo scoppiò a piangere. Rimasi in silenzio, sospeso tra imbarazzo e rispetto. Non feci in tempo a porgli la domanda sulle cause di quella commozione. Passammo subito alla risposta. Mi condusse in una piccola stalla, c’era solo un vitello, di pochi mesi ma già robusto. “Stanotte lo tengo qui da solo, domani andrà al macello. Mi sono affezionato, gli voglio bene, come a tutte le mie bestie a cui devo la sopravvivenza dell’azienda, ma è il mio lavoro”. Capita a tante persone di porgermi confidenze intime, anche fuori dalle mura del mio studio, pensando che il mio lavoro mi prepari a tutto. Ma non è così. Sono passati 25 anni e continuo a pensarci, spesso. Tutte le volte che qualcuno dice una banalità sugli animali penso a quell’uomo e al suo vitello. È capitato anche in questi giorni, sconfortato e avvilito alla reiterazione di comportamenti delle autorità, incapaci di capire qual è la vera posto in gioco, anche educativa, nel rapporto tra noi e il cibo che consumiamo.

"Sono un vegetariano ragionevole, non ideologico"

Il cibo, la sua provenienza, soprattutto quello animale, rappresenta un buco nero nel nostro rapporto coi bambini, custodi di memorie toccanti sul loro rapporto con le creature viventi non umane, ricordi che sopravvivono al tempo e finiscono tra le cose che annoto quando un paziente mi racconta della propria infanzia, degli eventi che avevano scolpito la sua visione delle cose.
Cinque anni fa. Dopo un’ora e mezzo di viaggio arrivo, piuttosto trafelato. Mancavano dieci minuti all’inizio del mio intervento. Siamo in provincia di Parma, un imprevisto mi aveva impedito di cenare a casa prima della partenza, ora non c’era tempo di farlo, ma gli organizzatori, gentilissimi, si erano presi il disturbo di farmi trovare uno spuntino veloce, un panino. Immaginavo fosse farcito con il celebre prosciutto crudo di quelle zone, ma non era così. Da quella volta che Vasco si era messo a piangere, le domande non si sono mai fermate e neppure le scelte. Sono un vegetariano ragionevole, non ideologico, mosso dall’unica ragione che tiene sul tempo, ossia la compassione verso gli animali, che non sono certo nati per essere mangiati da noi, sebbene quasi tutti gli esseri umani credano il contrario. Una quindicina di anni fa, infatti, un’organizzazione seria come la FAO aveva calcolato che ogni anno nel Pianeta vengono uccisi circa 56 miliardi di animali per scopi alimentari, senza considerare le creature marine.

Dunque, mi aveva fatto piacere accettare quel panino farcito con pane, mozzarella e pomodoro.

Finito il mio lavoro, nel salutare la persona che aveva organizzato l’incontro, mi permisi di chiederle come mai avessero rinunciato a offrirmi il loro prelibato prosciutto.

“È stata la cuoca a farci riflettere, segnalandoci che è frequente imbattersi in un vegetariano, e che dunque era meglio, nel dubbio, stare attenti”.

Quella volta, durante il viaggio di andata in autostrada mi era accaduto di sorpassare tre o quattro camion che trasportavano animali vivi, che presto non sarebbero stati più tali.

Il mio stato d’animo non ne aveva beneficiato.

Il ritorno, però, era stato più leggero, diversi pensieri mi avevano tenuto compagnia, consideravo che solo dieci anni prima nessuna cuoca si sarebbe preoccupata di domandarsi se il destinatario di uno spuntino potesse essere vegetariano. Un progresso silenzioso ma notevole, cui ne seguono altri, tutti i giorni, soprattutto grazie ai giovani, molti dei quali si rendono conto dei danni provocati dagli allevamenti intensivi a noi stessi, all’ambiente, agli animali.

Per cambiare le cose non c’è bisogno di radicalismi e neppure di coltivare crisi di astinenza, basterebbe una rivoluzione gentile in cui ciascuno di noi si impone una riduzione del consumo di carne.

"La politica si domandi cosa è bene per i bambini"

Un anno dopo, quello stesso istituto mi aveva invitato ancora, annunciandomi che vi sarebbe stata una cena finale, per tutti i partecipanti, circa duecento, tra i quali almeno la metà erano bambini. Immaginavo un trionfo di arrosti e salumi, invece andò in modo diverso.

“Le abbiamo voluto fare una bella sorpresa organizzando una cena interamente vegetariana, spiegando agli ospiti, adulti e bambini, le ragioni di questa scelta”. Nessuno si lagnò di quel cibo, né i grandi né i piccoli, compartecipi di un regalo non richiesto ma graditissimo.

Pretendere che la politica impari dai bambini è troppo, ma è lecito sperare che almeno si domandi cosa è bene per i piccoli abitanti del Pianeta, per l’oggi e per il domani, proprio mentre ci prepariamo a un’altra estate torrida, in parte determinata anche dai quindicimila litri di acqua necessari per produrre un solo chilo di carne. Allo stesso tempo, sarebbe onesto che essa si domandasse cosa veramente pensano le nuove generazioni delle abitudini alimentari che infliggiamo loro, in nome di chissà quale beneficio.

Un quattordicenne, affetto da una leggera forma di autismo, mi confessa di non riuscire a mangiare la carne, proprio perché ama gli animali, e che il rapporto col padre si è incrinato perché il genitore non comprende quale sofferenza procuri a lui vedergliene mangiare in quantità.

Continuo a invocare la crescita di un’educazione bidirezionale, in cui il contributo dei minori non sia solo un vezzo, bensì una precisa scelta strategica, perché l’infanzia è un “punto di vista” assai più vicino a una ipotetica verità di quanto non lo sia quello adulto, sovente corrotto, forse per necessità. Ma, purtroppo, l’ascolto dei minori rimane una sporadica e gentile concessione di un mondo adulto in costante conflitto d’interessi, capace di fare apparire necessarie le proprie convenienze e le proprie convenzioni, perdendo credibilità presso la prole e mettendo a rischio l’ambiente in cui essa si muove.

 

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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