Ergastolo ostativo, Cassazione non manda riforma a Consulta

Cronaca
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La Prima sezione penale ha stabilito di non inviare alla Corte Costituzionale la nuova normativa sull'ergastolo ostativo, modificata a novembre dal governo Meloni. Gli ermellini hanno annullato con rinvio il ricorso di un detenuto in cella da 30 anni che non ha collaborato e chiede la liberazione condizionale, negatagli in assenza di collaborazione

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La Cassazione si esprime sull’ergastolo ostativo e ha deciso di non inviare alla Consulta la nuova normativa sul tema, modificata a novembre dal governo di Giorgia Meloni per adempiere ai solleciti venuti nel corso degli anni dalla Corte costituzionale favorevole a rimuovere i 'paletti' preclusivi alla liberazione condizionale anche per i detenuti all'ergastolo per i reati cosiddetti ostativi. Lo ha deciso stamani la Prima sezione penale. Gli ermellini hanno annullato con rinvio il ricorso di Salvatore Pezzino, un detenuto in cella da 30 anni - difeso dall'avvocatessa Giovanna Araniti - che non ha collaborato e chiede la liberazione condizionale, negatagli in assenza di collaborazione. "Il Collegio odierno ha annullato l'ordinanza impugnata, così come richiesto anche dalla Procura Generale. L'annullamento è stato disposto con rinvio al Tribunale di sorveglianza di L'Aquila affinché, alla luce della nuova disciplina, valuti con accertamenti di merito preclusi al giudice di legittimità la sussistenza o meno dei presupposti ora richiesti dalla legge per la concessione dei benefici penitenziari ai detenuti per reati cd. ostativi non collaboranti". Questo uno dei passaggi con i quali la Cassazione spiega l'accoglimento del ricorso della difesa di un detenuto che non ha collaborato ed è in cella da 30 anni. Due giorni fa la Procura della Cassazione aveva fatto sapere il proprio parere. Anche secondo i Pg Pietro Gaeta e Giuseppe Riccardi, nella loro requisitoria, non era necessario inviare alla Consulta le norme che hanno modificato l'ergastolo ostativo.

Cosa è stato deciso

In particolare, oggi la Prima sezione penale ha deciso il ricorso di Salvatore Francesco Pezzino contro l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di L'Aquila che gli aveva negato la liberazione condizionale - spiega la Cassazione - "in ragione della mancata collaborazione con la giustizia (e preso atto dell'assenza della cd. collaborazione impossibile"). Il verdetto fa seguito alla restituzione degli atti alla Corte di cassazione che era stata disposta dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 227 del 10 novembre 2022. Ai giudici della Consulta "era stata rimessa la questione di legittimità costituzionale delle norme del cd. ergastolo ostativo, perché era sopraggiunta una nuova disciplina per l'accesso ai benefici penitenziari per i detenuti non collaboranti con condanna all'ergastolo per reati cd. ostativi (d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv. con modificazioni con la l. 30 dicembre 2022, n. 199)". Ora tutta la vicenda torna all'attenzione del Tribunale di sorveglianza de L'Aquila che non era mai entrato nel merito del 'caso' Pezzino ritenendo che, con le vecchie norme, l'assenza della collaborazione gli precludesse in ogni caso la liberazione condizionale che gli avrebbe consentito di uscire dal carcere dopo 30 anni di cella.

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Il caso di Pezzino

Salvatore Pezzino è detenuto all'ergastolo ostativo in carcere dal 1982, quando aveva 22 anni. Venne condannato a 30 anni per un omicidio, organizzato con altri familiari dopo che avevano subito un attentato, commesso nel 1984 durante un permesso premio, e a 5 anni e 4 mesi per associazione mafiosa, reato del tutto espiato. Negli anni il Tribunale di sorveglianza de L'Aquila gli ha negato la liberazione condizionale perché non ha mai collaborato.

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Il ruolo della Corte Costituzionale

Lo scorso 8 novembre la Consulta ha rimesso la questione chiedendo alla Cassazione di valutare se le nuove norme, contenute nel dl rave varato a fine ottobre continuano a destare dubbi di costituzionalità. A febbraio, per la seconda volta in pochi mesi, la Corte costituzionale ha "salvato" il carcere ostativo, rinviando gli atti ai giudici, che avevano sollevato dubbi sulla costituzionalità delle norme che limitano l'accesso ai benefici penitenziari ai responsabili di gravi reati, non solo di mafia e terrorismo. La ragione è la nuova legge alla luce della quale i magistrati dovranno valutare se le loro riserve sulla normativa hanno ancora ragion d'essere o siano state superate dalla disciplina entrata in vigore a ottobre dello scorso anno.

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