Nell’ordinamento giuridico penale italiano, anche le persone condannate all’ergastolo, dopo aver scontato un certo numero di anni, possono accedere ad alcuni benefici. Ma questa possibilità non sono concesse a chi è condannato all'ergastolo ostativo. Il tema è tornato al centro del dibattito dopo la cattura del super boss Matteo Messina Denaro. Ecco in cosa consiste la misura e come è cambiata negli anni
Nell’ordinamento giuridico penale italiano, anche le persone condannate all’ergastolo, dopo aver scontato un certo numero di anni, possono accedere ad alcuni benefici. Ma questa possibilità non sono concesse a chi è condannato all'ergastolo ostativo (COS'È). Il tema è tornato al centro del dibattito dopo la cattura del super boss Matteo Messina Denaro (LO SPECIALE DI SKY TG24). L'ergastolo ostativo infatti è uno strumento che può mettere i mafiosi di fronte a un bivio: essere fedeli a Cosa Nostra e pagarne tutte le conseguenze, con un sostanziale fine pena mai, oppure collaborare con lo Stato e cominciare così il processo di ravvedimento previsto dalla Costituzione. È proprio questo l'obiettivo dell'ergastolo ostativo rafforzato all'indomani delle stragi, per indurre boss e gregari a fare i nomi dei loro sodali e rompere il muro dell'omertà, evitando anche la condanna più dura.
I dubbi sull'ergastolo ostativo
Sullo strumento dell’ergastolo ostativo nel tempo si son appuntati dubbi e rilievi, anche in sede europea. Ma l'attuale governo intende difenderlo, come ha dimostrato con il suo primo decreto legge, varato a fine ottobre dello scorso anno con lo scopo di disinnescare una pronuncia della Corte Costituzionale che avrebbe potuto avere come conseguenza l'uscita dal carcere di capiclan. Ora la sua sorte è nelle mani della Cassazione, a cui la Consulta ha restituito gli atti perché valuti se le sue osservazioni sull'illegittimità costituzionale delle norme siano state superate dalla nuova disciplina introdotta dal governo.
Le critiche alle limitazioni
In origine, l'ergastolo ostativo impediva la concessione di qualunque beneficio penitenziario ai condannati in assenza di collaborazione con la giustizia. Nel 2019 si sono però aperte le prime crepe, con la Corte europea dei diritti dell'uomo che ha stabilito che la limitazione prevista per chi non collabora è contraria alla Convenzione sui diritti umani che vieta trattamenti inumani e degradanti, chiedendo all'Italia di modificare la legge. Poi è stata la Corte costituzionale ad aprire ai permessi premio per i boss, a condizione che sia provato che abbiano reciso i loro legami con la criminalità organizzata e purchè sia dimostrata la loro partecipazione al percorso rieducativo. La questione principale l’ha infine posta alla Consulta qualche tempo dopo la Cassazione, che sulla scia di questa sentenza dubita che sia rispettosa della Costituzione la preclusione assoluta della liberazione condizionale per i boss.
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La linea del governo Meloni
La Corte costituzionale, ad aprile del 2021, ha stabilito che questo divieto assoluto è incompatibile con la Costituzione, ma si è fermata a un passo dalla decisione, dando un anno di tempo al Parlamento per intervenire, termine che sarà ulteriormente prorogato senza che si arrivi a una nuova legge. Quando la deadline era imminente, il governo Meloni ha quindi varato un decreto per impedire le "scarcerazioni facili" e ha dettato le nuove regole: per accedere ai benefici penitenziari i condannati per reati di mafia che non collaborano con la giustizia dovranno aver riparato il danno alle vittime e dimostrare di aver reciso i rapporti con i clan, allegando "elementi specifici", che consentano "di escludere l'attualità di collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel quale il reato è stato commesso".