Sarà trattata l'ordinanza con la quale la Corte d'assise d'appello di Torino ha sospeso il processo all'anarchico per i due ordigni davanti alla Scuola allievi carabinieri di Fossano e ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in relazione a una norma del codice penale
La Consulta ha fissato per il 18 aprile l'udienza pubblica in cui sarà trattata l'ordinanza con la quale la Corte d'assise d'appello di Torino ha sospeso il processo all'anarchico per i due ordigni davanti alla Scuola allievi carabinieri di Fossano e ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in relazione a una norma del codice penale.
Si tratta della norma che per il reato di strage politica non consente al giudice di ritenere prevalente la circostanza attenuante dei fatti di lieve entita' in casi, come quello di Cospito, di recidiva aggravata.
Il Csm ha aperto una pratica a tutela di tutti giudici, a partire da quelli della Cassazione, che si sono pronunciati sul caso di Alfredo Cospito, l'anarchico in sciopero della fame al 41 bis. Il Comitato di presidenza di Palazzo dei marescialli ha dato il via libera alla richiesta presentata dai consiglieri di Magistratura Indipendente, secondo i quali i magistrati sono stati oggetto di una "denigrazione generica e generalizzata" e di una "delegittimazione diffusa ed indiscriminata". Il fascicolo è stato assegnato alla Prima Commissione.
L'iniziativa era stata presa dai consiglieri Paola D'Ovidio, Maria Vittoria Marchiano', Maria Luisa Mazzola, Bernadette Nicotra, Edoardo Cilenti, Eligio Paolini, Dario Scaletta, dopo la conferma del 41 bis da parte della Cassazione, accolta dal grido di "assassini", "venduti e servi" dagli anarchici che manifestavano in piazza Cavour, e il commento dei difensori di Cospito, che avevano definito la sentenza "una condanna a morte" frutto di una "scelta politica". Il gruppo aveva censurato anche le "espressioni di forte critica a prescindere dalla valutazione della analisi dei contenuti e della progressione logica", seguite alla sentenza, chiamando in causa il senatore Luigi Manconi che aveva parlato di un "verdetto iniquo". Molto netto il giudizio sull'insieme delle reazioni: " in luogo di critiche puntuali ed argomentate relative a specifiche attività processuali o a specifici provvedimenti" si assiste "ad una denigrazione generica e generalizzata dell'intera attività giurisdizionale penale con il risultato di determinare presso la pubblica opinione una delegittimazione diffusa ed indiscriminata della funzione giudiziaria svolta dai magistrati del Collegio decidente della Corte di Cassazione e più in generale nei confronti di tutti i magistrati che nelle diverse sedi si sono occupati della vicenda e sono stati raggiunti da minacce o azioni di intimidazione solo per aver esercitato nel rispetto della legge le loro funzioni".