Il digitale a scuola e l'arte di tirare a indovinare

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

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Si accende il dibattito sugli smartphone a scuola, destinatari di un provvedimento ministeriale “restrittivo”, ma discretamente inutile, dal momento che lascia le cose come stanno, con l’aggravante di caricare su scuola, dirigenti e insegnanti, la difficile decisione finale. Una circolare che aumenta solo la confusione

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Un uomo, in palese ritardo, entra fragorosamente nell’auditorium dov’è in corso la presentazione del mio volume “Superconnessi”. Il portone, nella foga, gli è sfuggito di mano, andando a sbattere contro il muro. Si sente osservato e decide di rimanere in piedi, in fondo alla sala, in compagnia di altri cittadini che non sono riusciti a sistemarsi sulle poltroncine.

Finito il mio intervento, inizia il dibattito di rito. Lui è il primo a chiedere la parola.

Si scusa subito per l’irruzione, svelandone le premesse. Si accingeva a uscire di casa, ma il figlio tredicenne lo aveva fermato, chiedendogli di rimanere con lui per giocare insieme ai videogame. Una richiesta che arrivava per la prima volta. “Non voglio che tu vada ad ascoltare lo psicologo, perché poi non mi farai più usare gli oggetti digitali”, era stata la spiegazione sincera del ragazzo al genitore perplesso, che chiedeva lumi su quell’inatteso tentativo di cameratismo ludico.

In questa piccola vicenda sono imprigionati alcuni nodi della questione appena riaccesasi, da cui muove il dibattito sugli smartphone a scuola, destinatari di un provvedimento ministeriale “restrittivo”, ma discretamente inutile, dal momento che lascia le cose come stanno, con l’aggravante di caricare su scuola, dirigenti e insegnanti, la difficile decisione finale. Una circolare che aumenta solo la confusione. Ricorda la disquisizione su un antinfiammatorio che in Europa molti paesi vietano da anni per la sua pericolosità, mentre nel nostro ci si abbandona alla discrezionalità del medico, in imbarazzo davanti alle obiezioni sulle ragioni per le quali è in commercio, pure essendo tossico. A tutti pare logico pensare che se un farmaco è pericoloso lo si toglie di mezzo e la questione si chiude.

Dalla richiesta del figlio di prima, rivolta al padre, si desume che i ragazzi pensano agli adulti come nemici delle nuove tecnologie. Questi ultimi, a loro volta, sono all’angolo, consapevoli che, prima volta nella storia dell’educazione, i figli sono più competenti dei grandi. Da anni tentano goffamente di impiantare un processo agli oggetti digitali, ma sanno di essere parte del problema, voraci consumatori della medesima marmellata e fornitori, ai figli, di quegli oggetti che vorrebbero la scuola proibisse. Non oso pensare alla cascata di regali tecnologici sotto l’albero.

Dopo una strenua e inutile battaglia, non vedendo vie d’uscita, gli esasperati genitori si sono rassegnati, cercando però di convertire una chiarissima questione educativa in un’improbabile emergenza tecnologica, infine si sono consegnati alla doglianza e al borbottio, istigati da quegli esperti che cercano facile popolarità presso madri e padri, un mercato molto prospero, dimenticando di informarli che stavolta non possono scegliersi l’avversario né tantomeno l’arma, perché siamo già oltre la linea di confine e senza passaporto. Indietro non si torna.

 

L'alternativa è la sfiancante sfida a guardia e ladri

 

L’alternativa è la sfiancante sfida tra guardie e ladri che abbiamo di fronte, dove le guardie sono impari rispetto al campo avverso, complesso e ricco di vie di fuga.

Ma c’è un ulteriore passo decisivo in questo cammino, che proprio gli esperti e i teorici dell’approccio poliziesco dovrebbero considerare, ossia prendere atto che sulla rete i ragazzi cercano esattamente quello che tutti cerchiamo nella vita

tridimensionale: sicurezza e considerazione. Certo, il digitale è un territorio immateriale pieno anfratti, ma anche qui i figli, e i genitori -potremmo parlare per settimane dei legami dei grandi che saltano grazie all’ambiente digitale, spesso mettendo nei pasticci proprio bambini e ragazzi-, puntano alle medesime prede cui si da la caccia nelle strade materiali. Il modo in cui si cerca considerazione è molto simile, nel reale e nel virtuale, poiché la rete non inventa ex novo la personalità dei ragazzi -grande paura degli adulti- semplicemente ne rende più marcati i tratti. L’ex bambino viziato in rete diventerà più arrogante, mentre un ragazzo trascurato e insicuro, favorito dall’incorporeità, potrà agire personali rivalse, ma ciascuno di loro continuerà a muoversi coerentemente con il proprio stile di vita.

Allo stesso modo, la tecnologia digitale, non può diventare un alibi per gli educatori, che continuano a essere chiamati a sviluppare il destino cooperativo dei figli, esattamente come dovrebbe accadere nella realtà tridimensionale.

Se un ragazzo è solido e rispettoso del suo prossimo, lo sarà anche quando si immerge nella rete.

Senza dubbio gli ambienti immateriali influenzeranno la formazione della personalità -questo non significa che la rendono peggiore- perché investono le emozioni in modo diverso, attraverso dei filtri potenti che ne attenuano l’impatto.

Vedere morire una persona in un incidente stradale, non è come vedere delle clip che mostrano incidenti in serie e non è nemmeno come assistere a una mattanza su un videogame. Nel primo caso le emozioni vengono toccate in modo potente, negli altri proiettano impressioni diverse nei nostri magazzini interiori, abituandoci ad assimilare gli eventi in modo “quantitativo”. È evidente il rischio di minare quella enorme risorsa della nostra specie che si chiama compassione, ma gli educatori, tutti, dovrebbero servire proprio a creare sani antagonismi.

La triste verità è che famiglia e scuola sono state lasciate da sole sin dall’inizio di questa trasformazione, proprio da autorità che faticano a raccapezzarsi e tendono ad agire in modo approssimativo e ideologico. In passato un ministro aveva vietato i telefonini a scuola, un altro, preso atto dell’evoluzione della tecnologia e della sua regolare presenza nella vita di tutti i giorni, li aveva riammessi.

Oggi si dice che bisogna tornare a vietarli, si accenna a evidenze scientifiche, ma poi non si prevede alcuna sanzione. Si parla di modificazioni del cervello, meno male, perché in realtà è stato mai fermo, anzi è il soggetto più plastico dell’universo. Non dimentichiamo che centinaia di migliaia di anni fa pesava all’incirca mezzo chilo e che oggi è triplicato. Come noi è in marcia e non pare abbia intenzione di fermarsi, non avendoci ancora mostrato di cosa è davvero capace. Il digitale, come il cervello, è popolato di miliardi di corpi celesti, occorrerà riparlarne con calma. Lo faremo nelle prossime settimane, senza cedere alla demonizzazione o alla faciloneria, eccessi di cui non si sente proprio il bisogno e che in questo particolare campo di materia generano solo ulteriore emotività.

 

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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