Violenza sulle donne, da “raptus” a “come eri vestita”: le parole da non usare più. VIDEO

Cronaca

Pamela Foti

Luoghi comuni e stereotipi sono dinamiche narrative da scardinare quando parliamo di violenza di genere. Ne abbiamo discusso con Manuela Ulivi, presidente di CADMI, Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano

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Raptus, gelosia, follia. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la violenza sulle donne. Il perché lo spiega Manuela Ulivi, presidente di CADMI, Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano, luogo di ascolto e accoglienza che opera in diverse aree di intervento: dall’accompagnamento nei percorsi di uscita dalla violenza alle azioni di comunicazione, prevenzione e formazione scolastica e aziendale.

Raptus 

Spesso, si giustifica la violenza attraverso un racconto che parla di improvvisi raptus del violento, di depressione, perdita del lavoro di chi ha commesso il fatto. In questo modo si pone l'accento su sue difficoltà come se avesse avuto un qualche motivo nell'esercitare quella violenza.

Come era vestita? Voleva separarsi...

Capita anche che si valuti come la donna si ponesse nei confronti del violento. Nei casi di stupro, ad esempio, c’è chi ancora oggi si chiede “come fosse vestita”, oppure, quando entriamo nell’ambito della sfera coniugale, si sottolinea che la donna volesse separarsi da marito. Tutto ciò non fa altro che spostare il peso della responsabilità: si guarda a ciò che ha fatto la donna, come se avesse assunto una posizione provocatoria tale da giustificare il gesto del violento.

MADRID, SPAIN - 2018/11/25: Women protesting during a demonstration on the International Day for the elimination of violence against women. (Photo by Marcos del Mazo/LightRocket via Getty Images)

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Il gigante buono

Tra le dinamiche narrative da scardinare c’è anche la descrizione del violento come di un “gigante buono”: una persona positiva nell'ambito sociale, magari brava con i figli. Certo, è possibile che il soggetto in questione possa essere percepito da fuori in questo modo, ciò non toglie però che lo stesso soggetto possa avere esercitato violenza. Il nostro focus deve restare su questo

 

L'album di famiglia

Allo stesso modo, è possibile che all’interno della famiglia possano esserci stati momenti felici. Ne sono prova scatti fotografici che ritraggono la famiglia insieme. Ma sappiamo anche che spesso questi sono alternati, in modo sempre più frequente quando la violenza viene esercitata per molto tempo, da umiliazioni e ferite non solo fisiche che le persone esterne non conoscono. È in questi casi che sentiamo parlare di “idillio spezzato”.

Oltre duecento persone si sono riunite a Torino per una manifestazione organizzata dal collettivo 'Non una di meno': si è trattato della secondo step di una mobilitazione cominciata il 25 novembre, giornata mondiale per l'eliminazione della violenza sulle donne, 28 novembre 2020. In piazza Castello le dimostranti hanno abbattuto a spinte e calci una muraglia di scatoloni di cartone su cui erano tracciate frasi sessiste e discriminatorie.
ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

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Idillio spezzato

Perché si spezza un idillio? Veramente l'idillio non c’è, non lo possiamo desumere da una fotografia così come non lo possiamo dedurre dai racconti di vicini o parenti. Purtroppo, la violenza è molto nascosta soprattutto tra le mura domestiche.


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