Gli infiniti rave quotidiani degli adulti

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

Gli adulti si illudono di risolvere i problemi del mondo giovanile senza avere dato almeno un’occhiatina ai propri, prendendo di mira i raduni dei ragazzi perché ne temono la carica trasgressiva. La stessa che essi vivono clandestinamente, a differenza dei giovani, che almeno la esibiscono senza vergognarsene, senza ipocrisie, interpellandoci senza ottenere risposte

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Un imprenditore cinquantenne, sposato e padre di tre figli, spende circa 5 mila euro al mese per rifornirsi di cocaina, di cui è consumatore compulsivo.

Non mi stupisco, è un fatto ordinario, non nelle proporzioni, sono pochi coloro che possono permettersi di investire cifre così ingenti per barare al gioco e sostenere le proprie fragilità, ma la platea degli adulti che fanno ricorso a supporti di questo genere è vastissima, almeno quanto quella di coloro che non possono rinunciare agli ansiolitici.

Lo sappiamo tutti ma facciamo finta di non saperlo, sebbene attraverso le acque reflue degli apparati fognari cittadini si potrebbero scrivere interi trattati di antropologia culturale, che renderebbero chiaro lo scarto insostenibile tra le nostre modeste risorse, fisiche e psichiche, e le richieste sempre più pressanti provenienti dalla società, cui si sommano quelle autoctone, indotte da ambizioni personali, sovente spropositate rispetto ai talenti posseduti.

Proprio questi sono i dislivelli che inducono i giocatori a reperire escamotage più o meno leciti.

Del resto, è ancora quell’uomo a raccontarmi di non conoscere altro modo per tenersi in piedi, dichiarandosi lacerato tra sensi di inadeguatezza e impegni sempre più urgenti e complicati da rispettare, per poi aggiungere che tutti “mi credono forte e risoluto, in realtà mi sento perennemente impari e sono costretto a mentire, a me stesso e ai miei interlocutori. È così anche nella mia vita intima, non riesco a sopportare la tenerezza, consumo sesso più rapidamente che posso, perché è troppo impegnativo guardare una donna negli occhi”.

Un’eccezione, potrebbero pensare quegli adulti che si illudono di risolvere i problemi del mondo giovanile senza avere dato almeno un’occhiatina ai propri, prendendo di mira i raduni dei ragazzi perché ne temono la carica trasgressiva, la stessa che essi vivono clandestinamente, a differenza dei giovani, che almeno la esibiscono senza vergognarsene, senza ipocrisie, interpellandoci senza ottenere risposte.

 

Adulti si illudono l’esclusiva dei problemi appartenga al mondo giovanile

Negli ultimi trentacinque mi sono mosso lungo la Penisola in modo capillare, osservandola non solo attraverso gli oblò degli aerei o dai finestrini di treni e auto, incontrando, a conti fatti, diverse centinaia di migliaia di persone, dai bambini agli anziani, con tutto ciò che passa in mezzo. Un pellegrinaggio professionale che prosegue ancora oggi e che occorrerebbe rendere obbligatorio a chiunque pretenda di assumere un qualsiasi provvedimento verso il mondo giovanile, a cominciare dai politici, quale che sia la loro area di appartenenza. Senza tale presupposto si finisce per trovarsi in una perenne Dad, tirando a indovinare da lontano, con i risultati che si possono intuire. Bisogna stare coi ragazzi, voce del verbo stare.

Noi adulti siamo parte del gioco, giocatori e non spettatori, ma preferiamo illuderci che l’esclusiva dei problemi appartenga al mondo giovanile, e che a noi spetti il compito di risolverli con atteggiamenti polizieschi, con il controllo, reprimendo il desiderio di libertà dei ragazzi. Questi ultimi, che ci piaccia o meno, sono coloro che da sempre si impegnano di più per cambiare, o addirittura salvare, il mondo. Non parlo solo dei movimenti ambientalisti, i cui leader sono dei ragazzini sapienti, ma penso a molti scienziati bambini, come Werner Heisenberg che, insieme ad altri coetanei, ventenni come lui, rivoluzionò la fisica, reiventando letteralmente l’universo. Non parlo di geni come Mozart, Bellini, Pergolesi, che all’età in cui i nostri figli frequentano il liceo e si compiacciono di genitori vizianti, avevano creato opere immortali. I primi due sono morti poco più che trentenni, il terzo ne aveva appena ventisei.

Potrei allungare l’elenco, all’infinito, ma non servirebbe a convincere i duri d’orecchi, adulto centristi incalliti, timorosi di vedersi scippare il volante dalle mani dai figli, senza accorgersi che quello ci è stato sfilato da tempo, a cominciare dal territorio della virtualità, oramai loro dominio esclusivo, dove pateticamente cerchiamo di inseguirli a colpi di divieti, unica arma in nostro possesso, perché con le competenze è pressoché impossibile. Ma il paradosso è che mentre cerchiamo di limitare il loro rapporto col digitale, senza una precisa strategia, noi ne siamo posseduti, non di rado distruggendo famiglie intere, perché magari tra un social e l’altro abbiamo ritrovato una vecchia fiamma, tornando a sognare e mollando il marito con quattro figli, bambini e adolescenti. Non è la sceneggiatura di un film a tinte fosche, ma quello che mi è accaduto di vedere, costernato, un paio di anni fa, e che continuo a registrare, con dosaggi diversi, quotidianamente.

 

Limitare libertà dei ragazzi richiede una "fedina pedagogica" immacolata

Intervenire sulla libertà di movimento dei ragazzi e sul loro diritto di essere ciò che desiderano, con la scusa che vorremmo salvarli, richiede una fedina pedagogica immacolata, peraltro una volta ottenuta quella ci passerebbe la voglia di volere ostinatamente occuparci dei loro problemi prima di avere risolto i nostri.

L’unico limite che avremmo il diritto di imporre è che le loro azioni non rispondano a intenti antisociali, così come l’unica arma a nostra disposizione per educarli è la capacità di testimoniare con la nostra vita che siamo in grado di fare quanto chiediamo loro. Un mio paziente ricordava divertito quando da ragazzino si appostava con i suoi amici a guardare le prostitute, attività monella ed eccitante. Un giorno, un attempato cliente, appena uscito dal suo turno, quasi con la cintura ancora in mano, li ammonì con fare educativo, dicendo loro che quella era una cosa brutta e che loro non avrebbero dovuto farla.

Fuori da queste regole elementari, esiste solo una stucchevole partita a guardie e ladri, dove non vince nessuno e le distanze si accrescono fino a diventare incolmabili.

I giovani sono soggetti quanto noi adulti alle leggi dello Stato, anche a loro è richiesto di rispettarle, quando non accade è giusto paghino il loro prezzo, questa è la sola linea di demarcazione. I loro rave non sono peggiori dei nostri, il fatto, però, che si moltiplichino dovrebbe indurci a domandarci cosa cercano quei ragazzi a cui abbiamo regalato un mondo che gira a velocità supersonica e sembra un libro confuso, privo di trama, per molti di loro addirittura mancante di senso. Se fossimo in grado di offrirgliene almeno uno, anche modesto, forse non saremmo più costretti a inseguirli nei capannoni. 

approfondimento

Rave party, il provvedimento italiano e il confronto con altri Paesi

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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