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Omicidio Marta Russo, una serie audio sul delitto della Sapienza

Cronaca

 “Polvere - Il caso Marta Russo”, opera della docente Chiara Lalli e della giornalista Cecilia Sala, è un'inchiesta che pone dubbi su indagini e processo seguiti all'uccisione della studentessa, avvenuta il 9 maggio 1997 nell'università romana

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Un’indagine giornalistica rimette in discussione le modalità investigative e processuali dell’omicidio di Marta Russo, la studentessa di 22 anni, uccisa all’università La Sapienza di Roma il 9 maggio 1997. “Polvere - Il caso Marta Russo” è la serie audio opera della docente Chiara Lalli e della giornalista Cecilia Sala, che 23 anni dopo il delitto sono tornate a quella mattina di maggio, hanno percorso gli stessi luoghi e parlato con i protagonisti dell’epoca.

La serie audio in 8 puntate

L’inchiesta, una serie audio in 8 puntate, prodotta da Emons Record e da Miyagi Entertainment, è in uscita a settembre 2020 su Huffington Post, sulle piattaforme audio Spotify, Google Podcast, Apple Podcast e Storytel e su Emons. Attraverso lo studio degli atti processuali, interviste inedite e il recupero delle intercettazioni telefoniche di allora, Chiara Lalli e Cecilia Sala evidenziano quelle che per loro sono state le incongruenze del lavoro investigativo e la fragilità dell’impianto accusatorio.

 

L’omicidio Marta Russo

Il 9 maggio 1997, all’interno della cittadella universitaria di Roma, qualcuno spara a Marta Russo. “Il delitto della Sapienza”, come viene ribattezzato dalla stampa, diventa un caso mediatico senza precedenti. L’arma del delitto non si trova, il bossolo nemmeno e stabilire da dove è partito il colpo si rivela fin da subito di estrema difficoltà per gli inquirenti. Fino a quando la perizia della polizia scientifica stabilisce che il colpo è partito dall’aula 6 dell’Istituto di Filosofia del diritto. Dopo più di un mese dalla morte di Marta Russo, la Polizia arresta i due assistenti Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Nel dicembre 2003 la Corte di Cassazione,  che nel 2001 aveva già annullato una prima sentenza di appello, ha condannato Giovanni Scattone a 5 anni e quattro mesi, e Salvatore Ferraro a 4 anni e due mesi. Ma entrambi si dichiarano vittime di errore giudiziario.