Secondo uno studio condotto dalla Caritas durante il lockdown sono 38.580 le persone che si sono rivolte per la prima volta ai centri diocesani per un aiuto. Enti e associazioni impegnati nel volontariato hanno dovuto rimodulare i servizi per evitare contagi. Un esempio su tutti: la chiusura di tante mense e l’incremento dei pasti offerti con le modalità dell’asporto e del domicilio
Hanno visto aumentare le richieste e, allo stesso tempo, hanno dovuto cambiare pelle per continuare a dare una mano a chi ne ha bisogno nel rispetto delle norme anti-contagio. Anche le associazioni e gli enti, impegnati nel sostegno agli indigenti, hanno avuto una radicale trasformazione di fronte all’emergenza Coronavirus (LO SPECIALE - IL CONTAGIO IN ITALIA). L’obiettivo della Caritas, forse quello più ampio per capillarità sul territorio, sulle settimane del lockdown restituisce la fotografia di un Paese in cui 38.580 "nuovi poveri" si sono rivolti per la prima volta ai centri di ascolto e ai servizi diocesani, con un aumento del 105% rispetto al periodo precedente alla crisi sanitaria. I numeri emergono da un’indagine nazionale condotta dall’organismo pastorale della Cei, nei giorni dal 9 al 24 aprile, e si riferiscono a 101 delle 218 Caritas presenti in Italia. Un focus che attraverso i dati spiega com’è cambiato il modo di prestare assistenza. Un esempio su tutti: il netto aumento dell’asporto o del domicilio dei pasti rispetto al consumo in mensa.
I numeri della Caritas
Le 101 Caritas diocesane, oggetto dell’indagine nel periodo del monitoraggio, hanno distribuito pasti a oltre 56.500 richiedenti e fornito dispositivi di protezione inidividuale e igienizzanti a 288mila persone. Il servizio di ascolto telefonico ha registrato oltre 22.700 contatti. Tra le attività garantite anche il sostegno per 6.120 nomadi, giostrai e circensi, l’acquisto di farmaci e prodotti sanitari per 7.825 soggetti e servizi di supporto psicologico offerti ha 6.115 persone. Rispetto alla situazione ordinaria, tutte le Caritas (il 100%) hanno registrato l’aumento di richieste di beni di prima necessità. L’87% rileva la crescita di una richiesta di aiuto per il pagamento delle bollette o degli affitti.
Aumentano i volontari giovani, in calo gli over 65
All’aumento delle richieste è corrisposto un incremento dei volontari giovani. Nel 59,4% delle Caritas sono cresciuti gli under 34, impegnati nelle attività e nei servizi, che hanno consentito di far fronte al calo degli over 65 rimasti inattivi per motivi precauzionali. Come in tutte le realtà, anche nell’organismo pastorale della Cei si registrano contagi e morti con Covid-19: in 42 tra volontari e operatori sono risultati positivi in 22 Caritas e in 9 strutture si sono registrati 10 decessi.
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Com'è cambiata l’assistenza
Ogni Caritas ha adottato la propria organizzazione per rispondere alle esigenze dell’utenza, durante il periodo della pandemia, ma le differenze fra le varie strutture sono minime. Un esempio per rendere l’idea di cosa è più o meno accaduto. Alla Caritas diocesana di Reggio-Emilia su tre mense ne è stata mantenuta una soltanto per la distribuzione dei pasti con l’asporto. Le distribuzioni alimentari sono state effettuate attraverso la consegna di pacchi a domicilio, spesso in collaborazione con altre realtà come Protezione civile, Croce Rossa, Auser, Scout. I centri di ascolto hanno funzionato soprattutto con contatti telefonici. L’ambulatorio reggiano, per tutto il mese di marzo, è rimasto aperto per la medicina di base, mentre sono state sospese le visite specialistiche urgenti. Ad aprile venute meno le condizioni di sicurezza è stato mantenuto solo un servizio telefonico. Il progetto di accoglienza invernale è rimasto attivo, consentendo la permanenza diurna.
Il dilemma dell'accoglienza ai senzatetto
Un tema, quello dell’accoglienza ai senzatetto, che ha posto la Caritas di fronte a un dilemma, esposto all’Avvenire, durante i primi giorni del lockdown, da don Benoni Ambarus, direttore della Caritas di Roma. "Se dovessi seguire tutte le regole dell'emergenza Coronavirus dovrei mettere fuori più della metà dei 450 senza dimora che ospitiamo nei nostri centri, scaricando così il problema sulla collettività. Se li tengo tutti dentro, violo le norme. Mi dicano cosa devo fare. Ma soprattutto trovino delle soluzioni". Un equilibrio che ha cercato anche la Comunità Sant’Egidio: "Nella chiesa di San Callisto a Trastevere - ha fatto sapere la comunità - osservando tutti i protocolli necessari per contenere il virus, tante persone senza dimora trovano accoglienza, il calore e la sicurezza di una casa".
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I servizi sospesi per precauzione
La pandemia ha avuto effetti anche su altri servizi garantiti, in tempi ordinari, dalle associazioni. Si pensi per esempio alla raccolta degli abiti usati. Sono molte le realtà che hanno sospeso questo servizio. L’Opera San Francesco di Milano, per esempio, ha chiuso il centro di via Vallazze dove vengono donati abbigliamento e calzature. L’Osf sin dal 24 febbraio ha attuato modifiche ai servizi con l’obiettivo di preservare la salute dei suoi ospiti, dei volontari e degli operatori. Entrambe le mense, sia quella più grande di corso Concordia che quella più piccola di piazzale Velasquez, hanno continuato a distribuire pasti, pur non offrendo al momento la possibilità di sedere ai tavoli. Il poliambulatorio non ha mai cessato le sue attività ed è stato arricchito da un’assistenza infermieristica domiciliare. Garantito seppur in maniera ridotta anche il servizio docce. L’Osf registra tra l’altro un singolare calo delle richieste ma conferma la tendenza generale dell'aumento dei "nuovi poveri". "Sono diminuiti gli utenti - racconta il responsabile della mensa di corso Concordia - ma quelli che vengono sembrano persone che non hanno alcuna altra risorsa. Tra questi ci sono delle facce nuove".
La fase 2 dell'assistenza ai poveri
L'Opera San Francesco mantiene attualmente l'organizzazione del momento emergenziale, ma così come tutte le altre realtà sta cercando di entrare nella fase 2 dell'assistenza ai poveri. In una lettera pubblicata sul sito dell'Osf, il presidente fra Marcello Longhi scrive: "Vorremmo quanto prima accogliere di nuovo seduti a tavola i nostri ospiti: occorre coniugare il dovere di non lasciare nessuno dei 2.200 ospiti senza pasto con la necessità di ottemperare alle norme anti-contagio". Fra Marcello spiega quale potrebbe essere il futuro dell'Osf: "Vorremmo riaprire il servizio guardaroba, consentendo alle persone in difficoltà di sentirsi pulite, sempre rispettando tutte le indicazioni sanitarie. Ripartiamo ma non per tornare a fare le cose di prima nello stesso modo. Se così fosse, non avremmo imparato nulla da questa pandemia che ha travolto il mondo intero. Ci vorrà del tempo, importante è imboccare la strada giusta, insieme".