Coronavirus, l'Italia ancora alla ricerca del paziente zero. Cosa sappiamo finora

Cronaca

Non è ancora stata chiarita l’origine della diffusione del virus SarsCoV2 nel nostro Paese, che ha provocato vittime e oltre 200 contagi. Smentita prima ipotesi del manager tornato dalla Cina. Da verificare gli eventuali legami tra il focolaio lombardo e quello veneto

Vittime e oltre 200 contagiati dal nuovo coronavirus SarsCoV2 in Italia. Eppure resta un mistero l’identità del cosiddetto “paziente zero”, ovvero la prima persona infetta che avrebbe portato il coronavirus nel nostro Paese innescando i contagi a catena in Lombardia e Veneto, i due principali focolai italiani che non è ancora chiaro se siano o meno collegati tra loro. Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e il suo assessore alla Sanità Giulio Gallera hanno detto che relativamente al paziente zero si stanno seguendo due piste, ma ancora non si sa a quali ipotesi si riferiscano né quali siano le certezze al momento. (TUTTI GLI AGGIORNAMENTI - DOMANDE E RISPOSTE DEL MINISTERO DELLA SALUTE - I CONSIGLI DEI PEDIATRI)

Smentita la prima ipotesi

All’inizio le ipotesi si erano orientate su un 41enne, manager italiano residente in Cina, amico del 38enne di Codogno (Lodi), primo caso di coronavirus trasmesso in Italia. L’uomo era rientrato in Italia il 21 gennaio per trascorrere del tempo con la famiglia e gli amici, incontrando anche il 38enne per cena. Per questo si era immaginato che il contagio fosse partito da lui. Tuttavia il 22 febbraio il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri ha comunicato che il 41enne, già risultato negativo al primo test, non ha mai avuto il coronavirus, circostanza confermata dal fatto di non aver sviluppato gli anticorpi. Dunque non è partita da lui la diffusione del virus nel lodigiano. 

Il legame tra i focolai di Lombardia e Veneto

Per capire se in Italia c’è stato uno o più pazienti zero, bisogna innanzitutto accertare se i focolai sviluppatisi in Lombardia e in Veneto siano uno la conseguenza dell’altro oppure se abbiano avuto origini indipendenti. Il 24 febbraio è emerso che un residente di Albettone (Vicenza), frequentatore dei bar di Vo’ Euganeo (Padova) - dove si è registrata la prima vittima italiana del virus, il 77enne Adriano Trevisan, e considerato uno dei tre “cluster” del virus in Veneto (oltre a Mirano e Venezia, per il momento meno numerosi) - nei giorni precedenti allo scoppio dei contagi era stato a Codogno e in altri centri del lodigiano. Oggi l'uomo in questione presenta tosse e sintomi influenzali e si attendono i risultati del suo tampone: se risultasse positivo e si confermasse lui l’anello di congiunzione tra i casi di contagio di Codogno e di Vo’, “sarebbe un’ottima notizia”, ha commentato Pier Luigi Lopalco, professore di Igiene all’Università di Pisa. Se si trattasse di “un focolaio unico - ha detto l’esperto - sicuramente potrebbe portare a un contenimento migliore”.

Terza generazione di contagiati

È sempre Lopalco a spiegare come l’individuazione del paziente zero sia “fondamentale per tracciare l’intera linea del contagio”, che “verosimilmente in Italia è ormai alla terza generazione di casi”. Secondo il professore il coronavirus avrebbe iniziato a circolare in Italia verso la fine di gennaio, quando ancora l’allerta non era al massimo e i voli non erano bloccati. “Vari soggetti avranno preso l’infezione magari senza accorgersene e in forma leggera”, ha spiegato. È la stessa ricostruzione ipotizzata, sul Corriere della Sera, da Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano e primario del reparto di Malattie infettive III dell’Ospedale Sacco di Milano: “È verosimile che qualcuno, arrivato (in Italia, ndr) in una fase ancora di incubazione, abbia sviluppato l’infezione quando era già nel nostro Paese con un quadro clinico senza sintomi o con sintomi molto lievi, che gli hanno consentito di condurre la sua vita più o meno normalmente”. In questo modo il paziente zero avrebbe infettato inconsapevolmente gli altri.

Un algoritmo per individuare il paziente zero

È sempre il Corriere a riportare la notizia secondo cui l’Asl di Milano avrebbe ingaggiato una squadra di matematici, fisici e medici per definire un algoritmo in grado di individuare il paziente zero. L’algoritmo incrocerebbe i dati relativi ai contagiati e alle persone attorno a loro per tentare di risalire all’origine dell’infezione.

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