Casamonica, per la Cassazione il clan è "associazione di stampo mafioso"

Cronaca

La Suprema Corte rigetta il ricorso presentato da esponenti della famiglia e degli Spada per rivedere le misure cautelari: restano in carcere come avevano già previsto Gip e Riesame 

Il clan Casamonica è "un'associazione di stampo mafioso". Lo sottolinea la terza sezione penale della Cassazione in una sentenza depositata oggi con cui ha dichiarato inammissibili i ricorsi di 18 indagati - tra cui diversi esponenti della famiglia Casamonica e alcuni della famiglia Spada (I CLAN DEL LITORALE) - contro l'ordinanza del Riesame di Roma che lo scorso luglio aveva confermato in gran parte le misure cautelari in carcere disposte dal gip per associazione mafiosa (articolo 416 bis c.p.) e associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (GLI INTERNI DELLE VILLE). 

Cassazione: sono "mafiosi interscambiabili"

Dalla Cassazione quindi arriva una conferma della mafiosità dei clan Casamomica e Spada, attivi in diverse zone della Capitale. Tra gli affiliati, rilevano gli 'ermellini' nelle motivazioni, c'è "un solido vincolo familiare, sono "interscambiabili nei ruoli e accomunati dal fine comune di commettere svariati reati". Nel verdetto 17851, l'Alta corte sottolinea come ormai siano numerosi i collaboratori di giustizia che hanno "concordemente ricostruito l'organizzazione del sodalizio criminoso e hanno identificato i ruoli svolti all'interno dello stesso da ciascun componente, segnalando talvolta lo svolgimento di una mansione specifica e immutata (si pensi a Giuseppe Casamonica, vertice del sodalizio), talaltra alla interscambiabilità delle funzioni svolte dai singoli" per la riscossione dei prestiti a usura, per intimidire, per entrare "nella base logistica del clan” (L'ABBATTIMENTO DI UNA VILLA DEI CASAMONICA).

Le motivazioni della Corte

La Cassazione nelle motivazioni scrive che "con specifico riferimento all'associazione di cui all'articolo 416 bis,  il tribunale ha ricostruito la sussistenza del sodalizio vagliando attentamente i plurimi elementi indiziari costituiti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, dagli interrogatori resi dalle presunte persone offese dell'associazione e dalle molteplici conversazioni intercettate nel corso delle indagini. Tali elementi - osservano i giudici del 'Palazzaccio' - sono idonei a dimostrare non solo la sussistenza dell'associazione di stampo mafioso, ma anche la partecipazione dei singoli indagati al sodalizio medesimo" (L'ASCESA AL POTERE).

"Nucleo familiare fortemente radicato"

Dalle indagini "emerge chiaramente che tutti gli indagati erano parte di un nucleo associativo familiare fortemente radicato nel territorio romano e ben noto alla popolazione, godevano di una base logistica comune all'interno della quale tenevano le armi e la sostanza stupefacente e nei pressi della quale le varie persone offese erano state convocate da diversi membri dell'associazione, disponevano di una cassa comune, svolgevano la propria attività con metodo fortemente intimidatorio, ponevano in essere condotte di aiuto e di reciproca sostituzione e recuperavano le somme di denaro conseguenti al reato di estorsione o di traffico di sostanze stupefacenti nell'interesse del sodalizio".

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