Stepchild adoption, valida in Italia sentenza su adozione negli Usa

Cronaca

Lo ha deciso la Corte d'Appello di Bologna, pronunciandosi sul caso dell'adozione di una bambina da parte della moglie della madre biologica

La sentenza con cui un tribunale degli Stati Uniti aveva disposto l'adozione di una bambina da parte di una donna italo-americana sposata con la madre biologica della minore è valida anche in Italia. Lo ha deciso la Corte d'Appello di Bologna.

Illegittimo il rifiuto della trascrizione

I giudici di secondo grado hanno accolto il ricorso della donna nei confronti del Comune di Bologna e del ministero dell'Interno per vedere riconosciuta a tutti gli effetti la pratica già accordata dalla magistratura statunitense. Della vicenda si occupò anche la Corte costituzionale che, nel 2016, si era pronunciata sul caso dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale sulla stepchild adoption, l'adozione del figlio biologico del proprio partner, promossa dal tribunale per i minorenni di Bologna. La suprema Corte, rigettando la pratica, aveva comunicato che il collegio di merito "ha erroneamente trattato la decisione straniera come un’ipotesi di adozione da parte di cittadini italiani di un minore straniero (cosiddetta adozione internazionale), mentre si trattava del riconoscimento di una sentenza straniera, pronunciata tra stranieri". Da qui il rinvio ai tribunale ordinario e un nuovo iter, conclusosi oggi con l'ordinanza della prima sezione civile, presieduta da Giovanni Benassi, con giudice relatore Melandia Bellini. La Corte ha dato ragione alla donna italo-americana, riconoscendo che il rifiuto della trascrizione della sentenza americana nei registri dello stato civile è illegittima.

Al primo posto il benessere del minore

Nell'adottare tale decisione, la Corte ha ritenuto ininfluente che la pratica della stepchild adoption non sia un istituto previsto dall'ordinamento italiano. Secondo i giudici, infatti, quest'ultimo argomento si perde "di fronte alla centralità del superiore interesse del minore cui è informato il concetto di ordine pubblico internazionale in questa materia e, di fronte ancor ai principi di uguaglianza tra i sessi e di signoria privata e libero sviluppo del singolo nella famiglia". I giudici hanno poi precisato che se un altro Stato ha ritenuto tale pratica idoneo strumento di regolamentazione dei rapporti dei propri cittadini, l'Italia ne può riconoscere l'applicazione in un caso dove "realizzi nell'unico modo concretamente immaginabile il benessere del minore".

Famiglia "di fatto" dal 2004

Un benessere che, secondo la Corte, è pienamente tutelato nel caso delle due donne che già da molti anni hanno formato una famiglia dove le capacità genitoriali non sono mai state messe in discussione. Le due donne hanno avuto ciascuna un proprio figlio tramite fecondazione eterologa. Una famiglia vera e propria riconosciuta dal un tribunale dell’Oregon che, nel 2004, aveva stabilito che entrambe erano reciprocamente madri adottive della bambina e del bambino dell’altra. Un diritto che è venuto meno dopo il trasferimento della famiglia in Emilia Romagna e la richiesta del riconoscimento dell'adozione anche in Italia. Dopo anni i giudici hanno rilevato come nel nucleo familiare formato dalle due donne e dai loro figli, non sia mai stato segnalato alcun problema. Per questo motivo, riconoscere l'efficacia della sentenza statunitense anche in Italia significa, scrive la Corte, "la pratica realizzazione dell'interesse primario della minore a mantenere l'ambiente affettivo di sempre".

Un passo importante verso i diritti civili

Nella motivazione della loro decisione i giudici hanno esortato a immaginare una soluzione opposta. "Ci si convincerà facilmente della mancanza di alternativa a questa decisione" perché il contrario significherebbe o separare una famiglia diversificando lo status dei suoi membri, oppure costringerla a revocare la scelta di vivere in Italia, scelta che invece per l'ordinanza è funzionale al benessere di tutti i suoi membri. Il Comune si era costituito in giudizio sostenendo che il rifiuto di trascrizione era un atto dovuto "in assenza di una normativa nazionale che consenta l'adozione del figlio del partner". Claudio Pezzi, avvocato della donna italo-americana, ha dichiarato: "Il provvedimento, anche per chiarezza e approfondimento delle questioni, rappresenta un ulteriore importante passo nella faticosa affermazione dei diritti civili dei minori e delle coppie omosessuali nel nostro Paese”.

La legge Cirinnà e la stepchild adoption

Il caso delle due donne, ha attraversato l'acceso dibattito che ha anticipato e posticipato l'approvazione della legge 76/2016, meglio nota come legge Cirinnà. La norma ha introdotto in Italia le unioni civili, senza però riconoscere il legame di genitorialità con i figli che nascono attraverso l’ausilio di tecniche di procreazione medicalmente assistita o nei confronti dei figli del partner. Per tutelare i diritti del minore ad avere una stabilità nelle relazioni familiari, nei singoli casi può essere avallata la stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio da parte di uno dei due membri della coppia, con il consenso del genitore biologico, già prevista per le coppie eterosessuali. Questa pratica è stata riconosciuta dalla giurisprudenza anche alle coppie omosessuali dall'anno 2014 attraverso un'interpretazione estensiva della legge 184/83 che regola l'adozione in casi particolari, come sottolinea il portale giuridico Altalex. Da allora il Tribunale dei minorenni di Roma, la Corte d'appello di Napoli, e la stessa Corte di Cassazione hanno riconosciuto la preminenza dell’interesse del minore rispetto a qualsiasi altro interesse dello Stato: la valutazione viene effettuata dai giudici caso per caso, seguendo questo criterio.

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