Nel fascicolo, trasmesso ai pm di Palermo, restano: abuso d'ufficio, omissione di atti d'ufficio, sequestro di persona e sequestro di persona a scopo di coazione. Tra gli atti, anche una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di due anni fa
Cade l'ipotesi di uno dei cinque reati addebitati al ministro Matteo Salvini e al suo capo di Gabinetto, Matteo Piantedosi, nell'ambito dell'inchiesta sulla nave Diciotti. Il fascicolo dell'indagine, trasmesso nei giorni scorsi dalla Procura di Agrigento ai pm di Palermo, in attesa di finire sul tavolo del Tribunale dei ministri, perde l'ipotesi di arresto illegale, prevista dall'articolo 606 del codice penale. Nel fascicolo restano l'abuso d'ufficio, l'omissione di atti d'ufficio, il sequestro di persona e il sequestro di persona a scopo di coazione.
Cade il reato di arresto illegale
La Procura di Palermo ha tempo fino al 14 settembre per trasmettere gli atti al Tribunale dei ministri presieduto da Fabio Pilato. I magistrati possono anche modificare i reati ipotizzati. La Procura distrettuale palermitana, diretta da Francesco Lo Voi, sta decidendo se trasferire l'intero fascicolo ai colleghi di Catania per competenza. Si ipotizza infatti che i reati sarebbero stati commessi dai due indagati all'arrivo della nave della Guardia costiera al porto di Catania e non nei pressi di Lampedusa, cioè della provincia di Agrigento, dove i migranti sono stati soccorsi il 16 agosto.
Negli atti anche una sentenza della Cedu di due anni fa
Intanto, tra gli atti dei magistrati trasmessi da Agrigento a Palermo spunta una sentenza della Cedu, la Corte europea dei diritti dell'uomo, intervenuta nel 2016 su un episodio considerato simile a quello della nave Diciotti. I giudici di Strasburgo due anni fa hanno condannato il governo italiano per avere trattenuto illegalmente nel centro di accoglienza di Lampedusa e poi a bordo di due navi tre tunisini. La sentenza sembra "sposare" l'ipotesi, tra quelle formulate dai magistrati di Agrigento, del sequestro di persona, e non del sequestro di persona a scopo di coazione. Quest'ultimo reato, per ora contestato agli indagati, richiederebbe un dolo specifico al momento non riscontrabile.
La sentenza della Cedu
I tre tunisini a cui si riferisce la sentenza Cedu erano arrivati a Lampedusa nel 2011 dopo il viaggio nel Canale di Sicilia e trattenuti prima nel cpa dell'isola e poi, dopo il trasferimento a Palermo, sulle navi Audacia e Vincent ormeggiate in porto in attesa del rimpatrio. Sul loro trattenimento era stata aperta anche un'indagine per arresto illegale e abuso d'ufficio, che poi è stata archiviata dal gip di Palermo. I tre uomini, attraverso i loro legali, avevano fatto comunque ricorso alla Cedu lamentando la violazione degli articoli 5 e 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. La Corte aveva dato loro ragione, stabilendo per ciascuno un risarcimento del danno di 10mila euro.
Secondo i pm è un caso simile alla Diciotti
Secondo i pm di Agrigento, il fatto su cui è intervenuta la sentenza è sovrapponibile a quanto accaduto ai migranti della Diciotti. Nel verdetto, che risale al 15 settembre del 2015, la Corte ricorda che l'articolo 5 della Convenzione “sancisce un diritto fondamentale, la protezione dell'individuo da qualsiasi lesione arbitraria dello Stato al suo diritto alla libertà”. “Una delle eccezioni al diritto alla libertà – hanno scritto i magistrati – permette agli Stati di limitare quella degli stranieri nell'ambito del controllo dell'immigrazione. Tuttavia, una privazione della libertà in questo caso può essere giustificata soltanto dal fatto che è in corso una procedura di espulsione o di estradizione”. Per la Cedu, la privazione della libertà deve essere anche “regolare”: che vuol dire che qualsiasi arresto o detenzione deve avere una base legale nel diritto interno in base a norme certe. Secondo la Cedu, "i ricorrenti non solo sono stati privati della libertà in assenza di base giuridica chiara ed accessibile, ma non hanno nemmeno potuto beneficiare delle garanzie fondamentali" enunciate, ad esempio, "nell'articolo 13 della Costituzione italiana, che prevede che la restrizione della libertà personale deve fondarsi su un atto motivato dell'autorità giudiziaria e che le misure provvisorie adottate, in casi eccezionali di necessità e urgenza, dall'autorità di pubblica sicurezza devono essere convalidate dall'autorità giudiziaria entro un termine di 48 ore". Un caso che, per i magistrati agrigentini, sarebbe una "fotocopia" di quello della nave Diciotti.