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Uranio impoverito e tumori, scontro commissione parlamentare-Difesa

Cronaca
Dalla relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sarebbe emerso un nesso tra l'esposizione all'uranio e le malattie denunciate dai militari italiani (foto: archivio Getty Images)

Polemiche dopo la presentazione della relazione finale sul lavoro dei militari in Italia e nelle missioni all’estero

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L'esposizione all'uranio impoverito in alcuni casi può aver provocato tumori nei militari. E' quanto afferma la relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle questioni che concernono appunto l’utilizzo dell’uranio impoverito.  Secondo il documento presentato dal presidente della commissione Gian Piero Scanu ci sarebbe "un nesso di casualità tra l'accertata esposizione all'uranio impoverito e le patologie denunciate dai militari". Le conclusioni del documento farebbero riferimento ad un'audizione di Giorgio Trenta, presidente dell'Associazione italiana di radioprotezione medica. Trenta ha però preso le distanze, sostenendo di non aver mai affermato la diretta responsabilità dell'uranio impoverito sullo sviluppo di tumori. Anche lo Stato Maggiore della Difesa contesta la relazione: "Accuse inaccettabili, noi tuteliamo la salute dei militari".

La relazione della Commissione parlamentare

Nella relazione finale, la commissione ha comunque sottolineato anche il "negazionismo" dei vertici militari e gli "assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle Autorità di Governo". Dalla relazione finale della Commissione sarebbero emersi i molteplici rischi a cui sono esposti lavoratori e cittadini nelle attività svolte dalle forze armate, ma anche dalla polizia di Stato e dai vigili del fuoco. Il pericolo non arriverebbe solo dall'uranio, ma anche dall'amianto presente in navi, aerei ed elicotteri. La Commissione ha accertato che 1101 persone, solo nell'ambito della Marina Militare, sarebbero decedute o si sarebbero ammalate a causa di malattie correlate all'amianto. Criticità sarebbero emerse anche nei poligoni e, in particolare, sarebbe risultata allarmante la situazioni delle missioni all'estero. Il documento citerebbe l'audizione di Giorgio Trenta, presidente dell'Associazione italiana di radioprotezione medica, che avrebbe riconosciuto un legame tra l'esposizione all'uranio impoverito e i tumori che hanno colpito i militari.

La smentita di Trenta

Tuttavia lo stesso Trenta ha smentito queste affermazioni sostenendo di essere stato travisato. "Assolutamente non è il mio pensiero - ha spiegato l'esperto - non ho mai detto che l'uranio impoverito è responsabile dei tumori riscontrati nei soldati". Secondo il presidente dell'Associazione italiana di radioprotezione medica, infatti, il presidente della Commissione citerebbe una sua perizia in cui affermava "che l'uranio al massimo poteva essere il mandante, non l'esecutore materiale". "Io parlavo di un militare che lavorava in un campo di atterraggio e decollo degli aeroplani che portavano le bombe all'uranio depleto in Kosovo che aveva una pista in terra battuta. Quindi quando gli aeroplani atterravano facevano un polverone, e questo faceva sì che inalasse microparticelle ma non di uranio, ma del materiale che stava nella pista. In questa perizia ho dato colpa a nanoparticelle derivate dalle attività che si svolgevano nel sito dove stava, ma non certo all'uranio". Nessuna agenzia internazionale, a partire dall'Oms, ha mai accertato la responsabilità dell'uranio impoverito. "Nessuno l'ha mai provata - ribadisce -. Anche sull'entità dell'eccesso di tumori che sarebbe stato riscontrato a mio parere non ci sono certezze, il numero di persone prese in esame è troppo basso per escludere che possa essere dovuto al caso". L'inchiesta avrebbe comunque fatto emergere la difficoltà da parte delle vittime di ottenere giustizia a fronte dei rischi corsi sul lavoro.

I casi emersi dall'inchiesta

Nel mirino della Commissione anche la magistratura penale, i cui interventi, scrivono i parlamentari "non appaiono sistematici" a tutela della salute dei militari. Di conseguenza, nell'amministrazione della Difesa continuerebbe a diffondersi "un deleterio senso di impunità". La Commissione ha, inoltre, trasmesso gli atti acquisiti in relazione a tre specifici casi emersi nell'inchiesta alle procure della Repubblica competenti. Si tratta di Antonio Attianese, vittima di una grave patologia insorta a seguito della sua permanenza in Afghanistan. Il militare ha denunciato l'atteggiamento ostruzionistico e le minacce di alcuni superiori. C'è poi il caso sollevato dal tenente colonello medico Ennio Lettieri, che ha affermato di essere stato direttamente testimone, nel corso della sua ultima missione in Kosovo, in qualità di direttore dell'infermeria del Comando Kfor, della presenza di una fornitura idrica altamente cancerogena di cui era destinatario il contingente italiano. Alla procura di Roma anche gli atti dell'audizione di Carmelo Covato, della Direzione per il coordinamento centrale del servizio di vigilanza, prevenzione e protezione dello Stato Maggiore dell'Esercito. Il generale aveva affermato in quell'occasione che "i militari italiani impiegati nei Balcani erano al corrente della presenza di uranio impoverito nei munizionamenti utilizzati ed erano conseguentemente attrezzati, affermazioni che apparivano in contrasto con le risultanze dei lavori della Commissione e con gli elementi conoscitivi acquisiti nel corso dell'intera inchiesta". 

Proposta di legge Scanu

A fronte delle criticità emerse nel settore della sicurezza sul lavoro dei militari in Italia e all'estero, è stata firmata da quasi tutti i membri della Commissione la proposta di legge Scanu che punta ad affidare la vigilanza sui luoghi di lavoro dell'Amministrazione della Difesa al personale del ministero del lavoro. I parlamentari hanno sottolineato l'urgenza di affidare a un ente terzo e qualificato per coerenza scientifica come l'Istituto superiore della Sanità le necessarie ricerche epidemiologiche nel mondo militare, sinora affidate all'Osservatorio epidemiologico della Difesa. Infine, la relazione ha constatato "l'inadeguatezza della tutela previdenziale garantita al personale delle forze armate, al quale è riservato un trattamento deteriore rispetto alla generalità dei lavoratori".