Depositate le motivazioni della Corte di Appello di Napoli dopo la prescrizione: l’ex premier contribuì alla caduta del governo guidato da Romano Prodi, agì "come privato corruttore e non come parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni"
L'ex premier Silvio Berlusconi, nella presunta compravendita dei senatori che, una decina di anni fa, contribuì alla caduta del governo guidato da Romano Prodi, agì "come privato corruttore e non come parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni". Ad affermarlo sono i giudici della seconda sezione della Corte di Appello di Napoli, nelle 125 pagine delle motivazioni relative alla sentenza emessa lo scorso 20 aprile.
Per Silvio Berlusconi e Valter Lavitola, condannati in primo grado a tre anni di carcere, i giudici decisero la prescrizione del reato di corruzione che però, fu ritenuto sussistente.
La vicenda
La vicenda vede l'ex premier Silvio Berlusconi nella veste di corruttore, il senatore Sergio De Gregorio in quella di corrotto e Valter Lavitola nel ruolo di intermediario. Per ricostruirla sono risultate determinanti, spiegano i giudici della seconda Corte di Appello di Napoli, le dichiarazioni rese dal senatore Sergio De Gregorio. Non ci fu infatti un contributo da parte degli imputati Berlusconi e Lavitola. "Berlusconi - si legge ancora - ha scelto di non fornire alcuna versione alternativa dei fatti idonea a smentire il narrato di De Gregorio né elementi che debbano essere presi in esame nel giudizio".
Le indagini
Le indagini che portarono alla sentenza in primo grado furono avviate dai sostituti procuratori della Repubblica di Napoli Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli i quali sostennero che De Gregorio, eletto nelle file dell'Italia dei valori, sotto forma di finanziamenti al suo movimento "Italiani nel Mondo", intascò ingenti somme di denaro per cambiare schieramento e determinare la caduta del governo Prodi, retto in Senato da una esigua maggioranza.
I legali di Berlusconi - avvocati Niccolò Ghedini e Michele Cerabona - chiesero l'assoluzione sottolineando, in particolare, l'insindacabilita' del voto dei parlamentari prevista dalla Costituzione e ritenendo non veritiere le dichiarazioni di accusa fatte dall'ex senatore Sergio De Gregorio.
Le motivazioni dei giudici
Nelle motivazioni, invece, i giudici di secondo grado spiegano anche che l'iniziativa di avvicinare De Gregorio e di proporgli l'accordo fu presa direttamente da Berlusconi il quale avrebbe utilizzato "la disastrosa situazione economica di De Gregorio (riferita da quest'ultimo a Berlusconi) per promettere di risolvergli ogni tipo di problema economico".
Comportamenti stigmatizzati dai giudici: "l'immagine del Senato è stata lesa ed ha subito un rilevantissimo danno dalla consapevolezza collettiva che la condotta di un suo membro è stata oggetto di mercimonio e l'alta funzione ricoperta è stata stravolta per fini egoistici ed utilitaristici". Infine, in uno dei paragrafi finali, la Corte d'Appello ritiene "pacifico che Berlusconi abbia agito, direttamente o attraverso Valter Lavitola, con assoluta coscienza di corrompere un senatore della Repubblica, compensando la condotta del pubblico ufficiale contraria ai suoi doveri di parlamentare con l'ingente somma di tre milioni di euro".