Mafia capitale, i giudici nella sentenza: "C'è stata solo corruzione"

Cronaca
La sentenza del processo, lo scorso luglio
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Depositate le motivazioni: spiegano, tra l’altro, perché è caduta l’accusa di associazione mafiosa. Il gruppo, si legge, “ha avuto la capacità di inquinare le scelte politiche e l’azione della pubblica amministrazione”. Nessun legame con banda Magliana

“C'è stata solo corruzione, nessuna mafia”. Sono state depositate le motivazione della sentenza al processo al “Mondo di mezzo”: circa 3mila pagine in cui i giudici della X sezione penale spiegano, tra l’altro, perché è caduta l’accusa di associazione mafiosa. “Ai fini del reato di cui all'art. 416 bis c.p. è necessario l'impiego del metodo mafioso e, dunque, il reato non si configura quando il risultato illecito sia conseguito con il ricorso sistematico alla corruzione, anche se inserita nel contesto di cordate politico-affaristiche ed anche ove queste si rivelino particolarmente pericolose”, scrivono i giudici. Che aggiungono: “Nel settore degli appalti pubblici l'associazione ha avuto la capacità di inquinare durevolmente e pesantemente, con metodi corruttivi diffusi, le scelte politiche e l'azione della pubblica amministrazione. Ciò dimostra la pericolosità dell'associazione nel suo complesso e anche quella dei singoli partecipi”.

Perché è caduto il “metodo mafioso”

Sono tre, scrivono i giudici, gli elementi sussistenti per i quali si sostanzia il “metodo mafioso”: intimidazione, omertà, assoggettamento psicologico delle vittime. I giudici indicano “necessari ed essenziali” nel definire il metodo mafioso: “la forza d'intimidazione, intesa come capacità dell'organizzazione di incutere paura in virtù della sua stabile e non occasionale predisposizione ad esercitare la coazione; l'assoggettamento, inteso come stato di sottomissione e succubanza psicologica delle potenziali vittime dell'intimidazione; l'omertà, intesa come presenza, sul territorio dominato, di un rifiuto generalizzato e non occasionale di collaborare con la giustizia, rifiuto e paura che si manifestano comunemente nella forma di testimonianze false e reticenti o di favoreggiamenti”.

Niente mafiosità “derivata” o “autonoma”

“Va detto che il Tribunale – si legge ancora nelle motivazioni – non ha individuato, per i due gruppi criminali (quello costituito presso il distributore di Corso Francia e quello riguardante gli appalti pubblici ndr), alcuna mafiosità 'derivata' da altre, precedenti o concomitanti formazioni criminose”. “Le due associazioni” criminali, continuano, “non sono caratterizzate neppure da mafiosità 'autonoma'”. I giudici scrivono che "deve quindi ribadirsi l'impossibilità di tenere conto - ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 416 bis c.p. - di eventuali condotte qualificabili come ‘riserva di violenza’, condotte che possono riguardare soltanto le mafie ‘derivate’, le uniche in grado di beneficiare della intimidazione già praticata dalla struttura di derivazione”. “Nessuna risultanza istruttoria dimostra però – continuano i giudici – che Buzzi ed i suoi sodali, nelle attività illecite riguardanti la pubblica amministrazione, conoscessero ed intendessero avvalersi dei metodi e dei comportamenti utilizzati dal gruppo costituitosi presso il benzinaio di Corso Francia".

No legami con banda della Magliana

I giudici sottolineano anche che “non è possibile stabilire una derivazione tra il gruppo operante presso il distributore di benzina, l'associazione operante nel settore degli appalti pubblici e la banda della Magliana”. Il “punto di collegamento” tra i due gruppi e la banda della Magliana, si spiega, “è costituito dalla sola persona di Massimo Carminati”. Ma, dicono i giudici, “non è sufficiente l'intervento di Carminati, 'erede della banda della Magliana', a stabilire un rapporto di derivazione tra detta banda e successive organizzazioni in cui Carminati si trovi coinvolto. Peraltro, neppure per la banda della Magliana si è potuti giungere ad affermare che si trattasse di un'associazione di tipo mafioso”.

“Fatti accertati di estrema gravità”

“Tralasciando il clamore mediatico, non vi è dubbio che i fatti accertati siano di estrema gravità, intanto per il loro stesso numero, poi per essere stati i reati realizzati in forma associata e infine per la durata stessa della condotta antigiuridica, che è proseguita nel tempo e che, con l'affinamento dei metodi di azione, ha creato le premesse per una permanente operatività, interrotta soltanto dalle indagini prima e dal processo poi”, si legge ancora nelle motivazioni.

La sentenza del luglio scorso

I giudici, lo scorso 20 luglio, hanno deciso 41 condanne e 5 assoluzioni per circa 250 anni di carcere (a fronte dei 500 chiesti dalla Procura di Roma). Hanno comminato in primo grado pene pesanti agli accusati di corruzione, ma non hanno riconosciuto l'associazione a delinquere di stampo mafioso sollecitata dalla Procura (l'indagine era conosciuta con nome di "Mafia capitale"). I giudici hanno inflitto 20 anni a Massimo Carminati, ex componente dei Nar, e 19 a Salvatore Buzzi, ras delle cooperative, riconoscendo l'esistenza di due autonome associazioni a delinquere e facendo cadere l'aggravante del 416 bis. Tra le varie condanne i giudici hanno disposto 11 anni al presunto braccio destro di Carminati, Ricardo Brugia, 10 per l'ex Ad di Ama Franco Panzironi. Tra le persone assolte l'ex dg di Ama, Giovanni Fiscon, per il quale la Procura aveva chiesto 5 anni; Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, accusati di essere il collegamento con la 'ndrangheta; Giuseppe Mogliani e Fabio Stefoni.

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