Investigatori e inquirenti provano a delineare meglio il quadro accusatorio a carico del presunto omicida della tredicenne. Intanto i suoi legali decidono se presentare la richiesta di scarcerazione
Ha negato l'evidenza, ha detto che lui non faceva spesso 'lampade' e si abbronzava lavorando in cantiere, mentre i gestori del centro estetico, distante 150 metri dalla casa di Yara Gambirasio, hanno raccontato, con tanto di documentazione, che lo frequentava ben due volte a settimana. Ed è proprio questa una delle probabili bugie di Massimo Giuseppe Bossetti, associata ad un'altra incongruenza importante nel suo verbale e ad una serie di testimonianze, che, secondo investigatori ed inquirenti, assume un peso rilevante nel quadro accusatorio a carico del presunto omicida della tredicenne.
Se le architravi dell'accusa si basano sulla prova del Dna, sulla polvere di calce ritrovata addosso alla ragazzina e sulla cella telefonica agganciata dal cellulare del muratore di Mapello quel pomeriggio del 26 novembre 2010, gli investigatori di polizia e carabinieri hanno raccolto in queste due settimane molti altri elementi. E lo hanno fatto partendo anche da alcune parole dette dal carpentiere nell'interrogatorio davanti al gip che non hanno convinto lo stesso giudice.
I legali decideranno all'ultimo se presentare richiesta di scarcerazione - Intanto, i legali di Bossetti hanno spiegato che rifletteranno fino all'ultimo (lunedì 29 giugno è la scadenza del termine) prima di presentare l'istanza di scarcerazione. "Abbiamo discreti argomenti per chiederla - ha spiegato l'avvocato Claudio Salvagni, difensore assieme a Silvia Gazzetti - ma noi ovviamente non siamo esperti di celle telefoniche, né criminologi, né genetisti e quindi ci siamo dovuti affidare a dei professionisti che, però, hanno dovuto svolgere consulenze in tempi rapidi". In ogni caso, ha aggiunto il difensore, "lunedì mattina andremo in Procura a Bergamo, anche perché abbiamo una idea difensiva". Non è da escludere che la difesa chieda di svolgere nuovi accertamenti sulle tracce biologiche sugli indumenti di Yara, quelle che hanno 'inchiodato' il muratore, con la formula dell'incidente probatorio.
Se le architravi dell'accusa si basano sulla prova del Dna, sulla polvere di calce ritrovata addosso alla ragazzina e sulla cella telefonica agganciata dal cellulare del muratore di Mapello quel pomeriggio del 26 novembre 2010, gli investigatori di polizia e carabinieri hanno raccolto in queste due settimane molti altri elementi. E lo hanno fatto partendo anche da alcune parole dette dal carpentiere nell'interrogatorio davanti al gip che non hanno convinto lo stesso giudice.
I legali decideranno all'ultimo se presentare richiesta di scarcerazione - Intanto, i legali di Bossetti hanno spiegato che rifletteranno fino all'ultimo (lunedì 29 giugno è la scadenza del termine) prima di presentare l'istanza di scarcerazione. "Abbiamo discreti argomenti per chiederla - ha spiegato l'avvocato Claudio Salvagni, difensore assieme a Silvia Gazzetti - ma noi ovviamente non siamo esperti di celle telefoniche, né criminologi, né genetisti e quindi ci siamo dovuti affidare a dei professionisti che, però, hanno dovuto svolgere consulenze in tempi rapidi". In ogni caso, ha aggiunto il difensore, "lunedì mattina andremo in Procura a Bergamo, anche perché abbiamo una idea difensiva". Non è da escludere che la difesa chieda di svolgere nuovi accertamenti sulle tracce biologiche sugli indumenti di Yara, quelle che hanno 'inchiodato' il muratore, con la formula dell'incidente probatorio.