2.935 italiani in carcere all'estero. Record in Germania
CronacaI dati della Farnesina segnalano che nostri concittadini sono detenuti in attesa di giudizio o condannati, in tutto il mondo. Mentre le interrogazioni parlamentari lanciano l'allarme sul mancato rispetto, in alcuni casi, dei loro diritti umani
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Duemilanovecentotrentacinque. Tanti sono i cittadini italiani detenuti all’estero. Più di due terzi sono in carcere in attesa di giudizio. Trentuno devono essere estradati in Italia. Gli altri affrontano le difficoltà di un processo in un Paese straniero, magari in una lingua che non conoscono, a migliaia di chilometri da casa.
Il caso di Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni condannati all’ergastolo la scorsa settimana a Varanasi, in India, per l’omicidio dell’amico Francesco Montis, riaccende i fari su una realtà che coinvolge quasi tremila italiani. L’ultima fotografia, è stata scattata dall’annuario statistico del ministero degli Affari esteri, per l’anno 2010.
Emerge così che sono 681 i nostri connazionali condannati all’estero, 2.223 attendono il giudizio, 2.935 in totale sono detenuti. Un terzo di questi, in Germania. Paese che ospita dietro le sbarre ben 1.168 italiani. Seguito, tra gli Stati europei, da Spagna (488), Francia (214), Belgio (195) e Svizzera (79).
E se l’Europa supera di gran lunga gli altri continenti, con ben 2.360 detenuti di nazionalità italiana, l’America non è da meno, avendo arrestato 426 connazionali e già condannato più della metà: 214. Oltreoceano il record lo detiene il Venezuela (76), seguito da Perù (69), Usa (66) e Brasile (64). Mentre tra le carceri di Asia e Oceania, dove ci sono 70 italiani, le più affollate sono quelle australiane (30), seguite dalle indiane (11) e thailandesi (8). Ma ci sono 5 cittadini del nostro Paese anche nei penitenziari della Repubblica popolare cinese.
Infine, 67 italiani sono detenuti tra Mediterraneo e Medio Oriente: 31 in Marocco, 15 negli Emirati Arabi, ma uno anche in Israele, in Siria e pure in Iraq. Mentre per l’Africa sub-sahariana sono in tutto 12, di cui la metà in Sud Africa e Kenia e per il resto uno in Camerun, due in Etiopia, uno in Ghana, uno in Congo e uno in Sudan.
Ma la contabilità da sola non dice tutto. E alcune delle storie che assurgono agli onori della cronaca, testimoniano le difficoltà di misurarsi con la giustizia di un Paese straniero. L’associazione “Prigionieri del silenzio” è nata nel 2008 dai parenti di due uomini sotto processo all'estero: Simone Righi, arrestato in Spagna dopo aver partecipato a una manifestazione animalista, e di Carlo Parlanti, condannato in primo grado a 9 anni in California con l’accusa di sequestro di persona, violenza sessuale e domestica nei confronti della sua ex convivente, “nonostante – afferma l’associazione – la mancanza di elementi accusatori credibili, l’inattendibilità della presunta vittima e la presentazione di evidenti prove della sua innocenza”. E poi ci sono vicende come quella di Daniele Franceschi, morto in cella a Grasse (Francia), sulle cause del cui decesso la madre chiede chiarezza.
Più in generale, scrive in un’interrogazione parlamentare il senatore di Io Sud Salvo Fleres, “spesso i detenuti italiani all’estero vengono sottoposti a condizioni di vita lesive dei più elementari diritti dell’uomo e sovente non ricevono cure mediche adeguate, né un’appropriata difesa legale”.
“Una delle situazioni peggiori – afferma in un’interrogazione la deputata radicale Rita Bernardini – riguarda i nostri connazionali detenuti in India, Paese che non ha sottoscritto nessun trattato bilaterale con l’Italia” e dove “7.468 detenuti sono morti in carcere tra il 2002 e il 2007 (quattro al giorno)” e sono “inoltre praticate torture diffuse”.
Il tre maggio in risposta a un’altra interrogazione della deputata radicale Elisabetta Zamparutti, il ministero degli Esteri ha fatto sapere che attualmente “i detenuti italiani in India sono 11: cinque per droga, tre per omicidio, uno per immigrazione clandestina e due per altri reati”. “Il ministero, in raccordo con l’Ambasciata a New Delhi e con gli uffici consolari in India – ha sottolineato il sottosegretario Alfredo Mantica – presta particolare attenzione alla situazione dei nostri connazionali detenuti nelle carceri indiane, così come in quelle degli altri Paesi, effettuando visite consolari e garantendo l’assistenza necessaria”.
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Il caso di Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni condannati all’ergastolo la scorsa settimana a Varanasi, in India, per l’omicidio dell’amico Francesco Montis, riaccende i fari su una realtà che coinvolge quasi tremila italiani. L’ultima fotografia, è stata scattata dall’annuario statistico del ministero degli Affari esteri, per l’anno 2010.
Emerge così che sono 681 i nostri connazionali condannati all’estero, 2.223 attendono il giudizio, 2.935 in totale sono detenuti. Un terzo di questi, in Germania. Paese che ospita dietro le sbarre ben 1.168 italiani. Seguito, tra gli Stati europei, da Spagna (488), Francia (214), Belgio (195) e Svizzera (79).
E se l’Europa supera di gran lunga gli altri continenti, con ben 2.360 detenuti di nazionalità italiana, l’America non è da meno, avendo arrestato 426 connazionali e già condannato più della metà: 214. Oltreoceano il record lo detiene il Venezuela (76), seguito da Perù (69), Usa (66) e Brasile (64). Mentre tra le carceri di Asia e Oceania, dove ci sono 70 italiani, le più affollate sono quelle australiane (30), seguite dalle indiane (11) e thailandesi (8). Ma ci sono 5 cittadini del nostro Paese anche nei penitenziari della Repubblica popolare cinese.
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Ma la contabilità da sola non dice tutto. E alcune delle storie che assurgono agli onori della cronaca, testimoniano le difficoltà di misurarsi con la giustizia di un Paese straniero. L’associazione “Prigionieri del silenzio” è nata nel 2008 dai parenti di due uomini sotto processo all'estero: Simone Righi, arrestato in Spagna dopo aver partecipato a una manifestazione animalista, e di Carlo Parlanti, condannato in primo grado a 9 anni in California con l’accusa di sequestro di persona, violenza sessuale e domestica nei confronti della sua ex convivente, “nonostante – afferma l’associazione – la mancanza di elementi accusatori credibili, l’inattendibilità della presunta vittima e la presentazione di evidenti prove della sua innocenza”. E poi ci sono vicende come quella di Daniele Franceschi, morto in cella a Grasse (Francia), sulle cause del cui decesso la madre chiede chiarezza.
Più in generale, scrive in un’interrogazione parlamentare il senatore di Io Sud Salvo Fleres, “spesso i detenuti italiani all’estero vengono sottoposti a condizioni di vita lesive dei più elementari diritti dell’uomo e sovente non ricevono cure mediche adeguate, né un’appropriata difesa legale”.
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