Un’agenda digitale per l’Italia. Tra dubbi e speranze

Cronaca
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L’appello di un centinaio di personalità del mondo accademico e imprenditoriale affinché la politica rilanci l'innovazione nel nostro Paese. “Vogliamo sollecitare il governo a fare qualcosa”, spiega a Sky.it uno di loro. Ma non mancano le perplessità

di Carola Frediani

Non è un Paese per nativi digitali, l’Italia. E neppure per chi al mondo Internet voglia approdare nel pieno della maturità. O per i giovani che vogliano costruirsi un futuro; per le piccole imprese minacciate dalla competizione globale; per i cittadini desiderosi di servizi più efficienti e trasparenti. Paradossale, perché è ormai chiaro a tutti che stiamo vivendo nel secolo della Rete, proprio come l’Ottocento è stato quello delle macchine a vapore e il Novecento dell’elettricità. Ma il Bel Paese non sembra capirlo, tant’è vero che non si è neppure dato una visione di lungo termine, un piano nazionale per affrontare questo passaggio epocale.

A dirlo è un appello-manifesto intitolato proprio “Diamo all’Italia una strategia digitale”, firmato da un centinaio di personalità del mondo accademico e imprenditoriale. L'obiettivo? Chiedere alla politica e alle istituzioni di creare un’agenda digitale per il Paese. E di riportare questo tema al centro del dibattito nazionale. C’è anche un limite temporale: cento giorni. Poco più di tre mesi per arrivare alla redazione di una serie di proposte organiche, coinvolgendo le rappresentanze economiche e sociali, i consumatori, le università e chi lavora nel settore. Uno sforzo collettivo, bipartisan, pragmatico per far ripartire l’Italia da Internet e dalla tecnologia: dalla banda larga all’e-commerce, dall’alfabetizzazione informatica alla digitalizzazione della pubblica amministrazione.
Ma chi sono i “sottoscrittori” dell’iniziativa? Imprenditori come Paolo Ainio, scienziati come Leonardo Chiariglione, blogger come Massimo Mantellini, esperti di rete come Stefano Quintarelli, nonché amministratori delegati di importanti aziende Ict (che comunque hanno firmato a titolo personale) come Franco Bernabé  (Telecom Italia), Paolo Bertoluzzo (Vodafone) e Pietro Scott Jovane (Microsoft).
Il “coming out” lo hanno fatto il 31 gennaio, acquistando una pagina di pubblicità sul Corriere della Sera, dove è stato pubblicato l’appello. Ma c’è anche un sito, ovviamente, e una pagina su Facebook.
“Vogliamo sollecitare il governo a fare qualcosa”, spiega a Sky.it Francesco Sacco, docente alla Bocconi e all’università dell’Insubria e tra i promotori dell’iniziativa. “Anche perché fino ad oggi il livello di discussione su Internet in Italia è stato davvero basso, con equazioni del tipo Rete uguale pedofilia o giù di lì”. Certo, il tempismo, considerata la situazione politica attuale di incertezza e le elezioni che vengono invocate o minacciate un giorno sì e l’altro pure, non è stato forse dei migliori.
“Noi abbiamo iniziato a parlarne da novembre. La pagina sul Corriere dovevamo acquistarla sotto Natale, poi i tempi sono slittati”, precisa Sacco. “Tuttavia va bene anche uscire adesso: se questo governo vuole rilanciarsi lo faccia su temi concreti; se ci saranno altri governi che partano subito con in testa questo obiettivo”.
Nonché con alcuni dati di fatto che spingono a riflettere: a livello globale la Internet economy supera i 10mila miliardi di dollari; nel Regno Unito vale già oggi il 7,2 per cento del Pil; la Germania si è data un’agenda digitale per il 2015 secondo la quale la banda ultralarga produrrà 1 milione di posti di lavoro in Europa. E l’Italia? Latita, come si evince anche da questa mappa delle Nazioni Unite sui Paesi che si sono dati un piano digitale.

E mentre dalla politica stanno arrivando le prime adesioni - da Pierferdinando Casini (Udc) a Luca Barbareschi (Fli) fino a Paolo Gentiloni (Pd) – nel mondo della Rete non tutti hanno accolto con entusiasmo l’appello per un’agenda nazionale. Qualcuno, pur essendo d'accordo sugli obiettivi, ha sottolineato come il curriculum di alcuni partecipanti renda l'appello meno credibile: “Tra i 100 firmatari, molti avrebbero potuto già da anni forzare la mano a tutti i livelli – anche quello politico – per avere Internet in agenda”.

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