Un pensionato di 70 anni è entrato in un bar del quartiere Molassana e ha sparato contro due uomini. Poi è tornato a casa, ha rivolto la pistola contro la consorte e si è tolto la vita. Mezzo secolo fa era stato indagato per omicidio
"Una storia di ordinaria follia": così il questore Filippo Piritore ha definito l'inferno di sangue scatenato da un muratore in pensione di 74 anni, Carlo Trabona, che, consumato dal tarlo di una gelosia ossessiva e priva di qualsiasi fondamento, ha ucciso la moglie, Antonina Scinta, di 72 anni, il presunto amante della donna e suo fratello, Angelo e Loreto Cavarretta, rispettivamente di 77 e 68 anni, prima di rivolgere l'arma contro sé stesso.
Il vortice di violenza inizia intorno alle 10:30 di domenica 9 gennaio: Trabona è per strada, in via Piacenza, nella stessa strada dove abitava al secondo piano di un palazzo al civico 91 con la moglie Antonina, e dove viveva anche quello che lui riteneva essere l'amante della donna, Loreto Cavarretta, loro dirimpettaio.
Per l'ossessione del marito, Antonina, nel chiuso delle pareti domestiche, era già stata oggetto di maltrattamenti, mai denunciati alla polizia, come spiegano le figlie della coppia Caterina e Maria Pina, che hanno anche parlato dei disturbi del comportamento dell'uomo proprio a causa di quel tarlo.
Testimoni riferiscono di aver visto i tre - amici di lunga data, anche perché provenivano tutti dallo stesso paese, Vallelunga Pratameno (Caltanissetta) - parlare sotto i portici di un bar.
Poi, improvvisamente Trabona estrae la pistola e spara. Pochi istanti e Angelo Cavarretta è a terra, colpito all'addome. Trabona viene visto da un altro testimone ricaricare l'arma, mentre Loreto Cavarretta riesce a raggiungere un supermercato e a chiedere aiuto ai dipendenti; ma i colpi esplosi lo hanno ferito gravemente al torace.
Poco più tardi i fratelli muoiono in ospedale: prima Angelo, poi Loreto. Le esplosioni risuonano nell'aria, gli abitanti del quartiere hanno paura: al 113 arrivano numerose segnalazioni.
Mentre le volanti e la squadra mobile raggiungono il luogo della sparatoria, Trabona torna sui suoi passi verso casa. Nella sua mente c'è solo il desiderio di lavare col sangue della moglie il disonore di cui e' convinto di essere stato vittima. Così raggiunge il ballatoio davanti casa, la moglie esce e viene freddata con un colpo secco all'orecchio destro.
Trabona chiama al telefono la figlia minore, Caterina, annunciandole di aver fatto ciò che doveva, di aver ucciso la madre e di volersi uccidere prima di consegnarsi alla polizia, poi bussa alla porta dove vive la famiglia di Loreto e anche a loro dice di aver ucciso il loro congiunto ed il cognato.
Intanto il corpo della donna è a terra. Trabona è ancora sul pianerottolo, in uno stato di forte eccitazione psicomotoria, bussa ad altri vicini. Cerca di entrare in casa loro senza riuscirvi. Anche a loro dice di volersi uccidere. La polizia ora è in via Piacenza, davanti al 91, isola il palazzo dalla folla di persone che intanto si sono assiepate sotto, attonite, sbigottite.
C'è chi piange. Tra loro ci sono le figlie di Trabona: Caterina e Maria Pina. Si abbracciano. Hanno lo sguardo perso. Dal citofono gli investigatori spiegano ai numerosi condomini del palazzo la situazione. Dicono loro di restare in casa, in modo da rendere "asettica" la scena.
Il questore Filippo Piritore chiede l'intervento dei tiratori scelti, mentre si valuta come raggiungere l'uomo armato sul ballatoio del secondo piano. Alla fine viene assegnato ad Alessandra Bucci, da poco promossa vice capo della squadra mobile, e responsabile della omicidi, il difficile compito di mediare con Trabona. La poliziotta è al piano di sotto. Si valuta l'opportunità di raggiungere l'uomo passando da un altro appartamento, con una scala dei vigili del fuoco.
Trabona farnetica, è sempre più agitato mentre impugna l'arma e tiene sotto tiro i poliziotti. Mette insieme frasi sconclusionate, poi si punta l'arma alla tempia e spara. La sua agonia finirà poco più tardi in ospedale.
Chiusa l'emergenza in circa due ore, restano gli interrogativi: dagli accertamenti risulta infatti che Trabona era già stato accusato di un duplice omicidio, avvenuto a Contrada Casa Bella, nel comune di Cammarata, ad Agrigento, nel 1959, oltre che di associazione a delinquere e porto illegale d'arma. Venne considerato, inoltre, soggetto pericoloso, perché si accompagnava con persone in odore di mafia.
Condannato a oltre 20 anni in primo grado, viene assolto per insufficienza di prove in secondo. E' all'attenzione dell'autorità giudiziaria fino al 1966, poi nel 1967 emigra, prima in Svizzera, per arrivare quello stesso anno a Genova, dove il suo comportamento è esemplare.
Altro risvolto che meriterà approfondimenti: la pistola con cui Trabona ha scatenato l'inferno, una Smith Wesson calibro 38. L'arma era infatti detenuta illegalmente, provento di un furto che risale al 1979. Aspetti sui quali si potrà dare un chiarimento solo nei prossimi giorni.
Il vortice di violenza inizia intorno alle 10:30 di domenica 9 gennaio: Trabona è per strada, in via Piacenza, nella stessa strada dove abitava al secondo piano di un palazzo al civico 91 con la moglie Antonina, e dove viveva anche quello che lui riteneva essere l'amante della donna, Loreto Cavarretta, loro dirimpettaio.
Per l'ossessione del marito, Antonina, nel chiuso delle pareti domestiche, era già stata oggetto di maltrattamenti, mai denunciati alla polizia, come spiegano le figlie della coppia Caterina e Maria Pina, che hanno anche parlato dei disturbi del comportamento dell'uomo proprio a causa di quel tarlo.
Testimoni riferiscono di aver visto i tre - amici di lunga data, anche perché provenivano tutti dallo stesso paese, Vallelunga Pratameno (Caltanissetta) - parlare sotto i portici di un bar.
Poi, improvvisamente Trabona estrae la pistola e spara. Pochi istanti e Angelo Cavarretta è a terra, colpito all'addome. Trabona viene visto da un altro testimone ricaricare l'arma, mentre Loreto Cavarretta riesce a raggiungere un supermercato e a chiedere aiuto ai dipendenti; ma i colpi esplosi lo hanno ferito gravemente al torace.
Poco più tardi i fratelli muoiono in ospedale: prima Angelo, poi Loreto. Le esplosioni risuonano nell'aria, gli abitanti del quartiere hanno paura: al 113 arrivano numerose segnalazioni.
Mentre le volanti e la squadra mobile raggiungono il luogo della sparatoria, Trabona torna sui suoi passi verso casa. Nella sua mente c'è solo il desiderio di lavare col sangue della moglie il disonore di cui e' convinto di essere stato vittima. Così raggiunge il ballatoio davanti casa, la moglie esce e viene freddata con un colpo secco all'orecchio destro.
Trabona chiama al telefono la figlia minore, Caterina, annunciandole di aver fatto ciò che doveva, di aver ucciso la madre e di volersi uccidere prima di consegnarsi alla polizia, poi bussa alla porta dove vive la famiglia di Loreto e anche a loro dice di aver ucciso il loro congiunto ed il cognato.
Intanto il corpo della donna è a terra. Trabona è ancora sul pianerottolo, in uno stato di forte eccitazione psicomotoria, bussa ad altri vicini. Cerca di entrare in casa loro senza riuscirvi. Anche a loro dice di volersi uccidere. La polizia ora è in via Piacenza, davanti al 91, isola il palazzo dalla folla di persone che intanto si sono assiepate sotto, attonite, sbigottite.
C'è chi piange. Tra loro ci sono le figlie di Trabona: Caterina e Maria Pina. Si abbracciano. Hanno lo sguardo perso. Dal citofono gli investigatori spiegano ai numerosi condomini del palazzo la situazione. Dicono loro di restare in casa, in modo da rendere "asettica" la scena.
Il questore Filippo Piritore chiede l'intervento dei tiratori scelti, mentre si valuta come raggiungere l'uomo armato sul ballatoio del secondo piano. Alla fine viene assegnato ad Alessandra Bucci, da poco promossa vice capo della squadra mobile, e responsabile della omicidi, il difficile compito di mediare con Trabona. La poliziotta è al piano di sotto. Si valuta l'opportunità di raggiungere l'uomo passando da un altro appartamento, con una scala dei vigili del fuoco.
Trabona farnetica, è sempre più agitato mentre impugna l'arma e tiene sotto tiro i poliziotti. Mette insieme frasi sconclusionate, poi si punta l'arma alla tempia e spara. La sua agonia finirà poco più tardi in ospedale.
Chiusa l'emergenza in circa due ore, restano gli interrogativi: dagli accertamenti risulta infatti che Trabona era già stato accusato di un duplice omicidio, avvenuto a Contrada Casa Bella, nel comune di Cammarata, ad Agrigento, nel 1959, oltre che di associazione a delinquere e porto illegale d'arma. Venne considerato, inoltre, soggetto pericoloso, perché si accompagnava con persone in odore di mafia.
Condannato a oltre 20 anni in primo grado, viene assolto per insufficienza di prove in secondo. E' all'attenzione dell'autorità giudiziaria fino al 1966, poi nel 1967 emigra, prima in Svizzera, per arrivare quello stesso anno a Genova, dove il suo comportamento è esemplare.
Altro risvolto che meriterà approfondimenti: la pistola con cui Trabona ha scatenato l'inferno, una Smith Wesson calibro 38. L'arma era infatti detenuta illegalmente, provento di un furto che risale al 1979. Aspetti sui quali si potrà dare un chiarimento solo nei prossimi giorni.