Amare l'Italia significa saperne dire male

Cronaca
Curzio Malaparte
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"La peggior forma di patriottismo è chiudere gli occhi davanti alla realtà": lo scriveva Curzio Malaparte mezzo secolo fa. La sua voce è raccolta in un'antologia Laterza che, a 150 anni dall'Unità, si interroga sull’identità italiana. Leggine un estratto

di Curzio Malaparte

Non mi stancherò mai di ripetere che vi sono due modi di amare il proprio paese: quello di dire apertamente la verità sui mali, le miserie, le vergogne di cui soffriamo, e quello di nascondere la realtà sotto il mantello dell’ipocrisia, negando piaghe, miserie, e vergogne, anzi esaltandole come virtù nazionali.
Tra i due modi, preferisco il primo. Non solo perché a me sembra il giusto, ma perché l’esperienza insegna che la peggior forma di patriottismo è quella di chiudere gli occhi davanti alla realtà, e di spalancare la bocca in inni e in ipocriti elogi, che a null’altro servono se non a nascondere a sé e agli altri i mali vivi e reali.

Né vale la scusa che i panni sporchi si lavano in famiglia. Vilissima scusa: un popolo sano e libero, se ama la pulizia, i panni sporchi se li lava in piazza. Ed è cosa inutile e ipocrita invocare la carità di patria.
La carità di patria fa comodo soltanto ai responsabili delle nostre miserie e vergogne, e ai loro complici e servi, fa comodo a chi ci opprime, ci umilia, ci deruba, ci corrompe. Non è certo con questa specie di carità che si potranno evitare nuovi malanni, e nuovi lutti all’Italia.
Se si vuol portare rimedio alle miserie del popolo, se si vuol aiutare gli italiani a conquistarsi libertà, giustizia, leggi oneste e civili, occorre parlar chiaro, denunziare ad alta voce i soprusi, le violenze, le corruzioni, le frodi.

Ho forti dubbi che la patria, per la quale si pretenderebbe invocare tale specie di carità, sia la vera patria degli italiani. Credo piuttosto sia quella che Carducci chiamava «La Patria di lor signori»; cioè l’Italia dei servi e dei padroni, un’Italia che non merita né pietà né rispetto.
Essa non ha nulla a che fare con l’Italia vera, umiliata, affamata, tradita. E non si dica che l’Italia è ormai talmente avvilita, che non può sopportare la verità, e ha bisogno della menzogna per vivere e sopravvivere. Se non sopporta la verità, se ne vada al diavolo. Io non so che farmene di una patria che non sopporta la verità.
© 2010, Gius. Laterza & Figli per la lingua italiana
Pubblicato in accordo con PNLA/ Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency

Curzio Malaparte (1898-1957), pseudonimo di Kurt Suckert, giornalista, scrittore, direttore della «Stampa». Tra i suoi numerosi romanzi e saggi, La pelle (1949) e Maledetti toscani (1956). L'articolo è apparso su Tempo illustrato il 21 giugno 1956.

Tratto da Filippo Maria Battaglia, Paolo Di Paolo (a cura di), Scusi, lei si sente italiano?, Laterza, pp. 204, euro 15

Filippo Maria Battaglia (Palermo, 1984) è giornalista di Sky.it e collabora alle pagine culturali di "Panorama.it" e "Liberal". Ha pubblicato Professione reporter. Il giornalismo d'inchiesta nell'Italia del dopoguerra (con Beppe Benvenuto, Rizzoli 2008) e ha curato diverse antologie giornalistiche, tra cui Viaggio in Versilia di Gian Carlo Fusco (Mursia 2009) e Facce da schiaffi di Fortebraccio (con Beppe Benvenuto, Rizzoli 2009).

Paolo Di Paolo (Roma, 1983) ha pubblicato per i nostri tipi la conversazione con Dacia Maraini Ho sognato una stazione. Gli affetti i valori e le passioni (2007) e Ogni viaggio è un romanzo. LIbri, partenze, arrivi (2007).  Ha curato La mia eredità sono io di Indro Montanelli (Rizzoli 2008) e Viaggi e altri viaggi di Antonio Tabucchi (Feltrinelli 2010). È autore, tra l'altro, del romanzo Raccontami la notte in cui sono nato (Perrone 2008).

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