Ior, il Riesame conferma il sequestro dei 23 milioni di euro

Cronaca
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Respinta la richiesta della banca vaticana di sbloccare la somma sequestrata in seguito all'inchiesta sulla presunta violazione della prevenzione del riciclaggio. La Procura di Roma, intanto, indaga anche su altre operazioni sospette

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Il Tribunale del Riesame di Roma ha respinto la richiesta avanzata dallo Ior di sbloccare i 23 milioni di euro sequestrati in banche italiane dopo l'apertura di un'inchiesta sulla presunta violazione della prevenzione del riciclaggio. Lo riferiscono fonti giudiziarie.

Lo scorso settembre, i magistrati di Roma hanno indagato il presidente e il direttore generale della banca vaticana, Ettore Gotti Tedeschi e Paolo Cipriani, e hanno disposto il sequestro della somma.
L'inchiesta della Procura romana riguarda due distinte operazioni: una per 20 milioni di euro destinati alla JP Morgan Frankfurt, e un'altra di 3 milioni di euro per la Banca del Fucino.
Il 15 settembre scorso, secondo una fonte giudiziaria, l'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia ha segnalato le transazioni - considerate sospette, anche perché prive dell'indicazione dei beneficiari - alla Guardia di Finanza, bloccandole per cinque giorni.
I legali dello Ior sostengono l'illegittimità del sequestro, affermando che si tratta di una somma che non deriva da reati.

Dalle carte messe a disposizione del collegio del Riesame emerge inoltre che la Procura indaga anche su altre operazioni compiute dallo Ior lo scorso anno e segnalate come sospette all'Uif (Unità di informazione finanziaria) della Banca d'Italia. Ad esempio, è finita sotto la lente degli inquirenti  un'operazione del novembre del 2009, che fa riferimento ad assegni per complessivi 300mila euro incassati su un conto Ior presso Unicredit e negoziati da tale Maria Rossi, nome di pura fantasia secondo quanto emerso dalle indagini.

Il diritto italiano recepisce la normativa comunitaria sulla prevenzione del riciclaggio con il decreto numero 231 del 2007, che prevede la reclusione da sei mesi a un anno e ammenda da 5.000 a 50.000 euro per chi violi la norma.

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