'Ndrangheta, sciolta nell'acido a Milano: 6 arresti
CronacaLea Garofalo aveva collaborato con la giustizia. E' stata rapita, interrogata, uccisa e poi fatta sparire dal suo ex convivente, padre di sua figlia. Aveva rinunciato al programma di protezione nell'aprile del 2009
Uccisa e sciolta nell'acido: l'orrore dei più crudeli delitti di mafia arriva a Milano e colpisce una donna. In questo modo sarebbe stata messa a tacere per sempre Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia scomparsa nel novembre del 2009 a Milano, dove si era recata per incontrare Carlo Cosco, suo ex compagno e padre della figlia.
Gli arresti - Nella notte sono scattati arresti e perquisizioni dei carabinieri disposti dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano. La sorte della donna sembrava già segnata nel febbraio di quest'anno, tanto che il procuratore della Dda molisana, Armando D'Alterio, non escluse un epilogo tragico e affermò: "La cerchiamo, speriamo di trovarla viva". In base agli accertamenti e alle dichiarazioni di un paio di pentiti, Lea Garofalo, 35 anni (che dal febbraio del 2006 non era più sotto protezione), prima di essere assassinata e sciolta nell'acido in un terreno nell'hinterland milanese, sarebbe stata anche interrogata dai suoi esecutori.
Dei sei provvedimenti, due sono stati notificati in cella a Carlo Cosco, ex convivente della donna - dalla relazione è nata una figlia ora maggiorenne - e a Massimo Sabatino. I due erano già stati arrestati a febbraio per un precedente tentativo di sequestro, avvenuto a Campobasso nel maggio dell'anno scorso, con lo scopo di uccidere la Garofalo per vendicarsi delle dichiarazioni da lei rese agli inquirenti, a partire dal 2002, contro alcuni affiliati alle cosche della 'ndrangheta di Petilia Policastro (Crotone). Gli altri quattro destinatari del provvedimento del giudice Gennari sono i fratelli di Carlo Cosco, Giuseppe detto Smith (gli è stato contestato anche lo spaccio di stupefacenti) e Vito detto Sergio, e altre due persone, una delle quali accusata solo di distruzione di cadavere.
L'agguato - Secondo l'indagine, Carlo Cosco ha organizzato l'agguato teso a Lea Garofalo proprio mentre questa si trovava a Milano con la figlia. Proprio con il pretesto di mantenere i rapporti con la ragazza, legatissima alla madre, Cosco ha attirato la sua ex nel capoluogo lombardo. Almeno quattro giorni prima del rapimento, ha predisposto un piano, contattando i complici, assicurandosi sia il furgone dove è stata caricata a forza, sia la pistola per ammazzarla "con un colpo", sia il magazzino o il deposito dove interrogarla, e infine l'appezzamento dove si ritiene sia stata sciolta nell'acido. La distruzione del cadavere, per inquirenti e investigatori, ha avuto lo scopo di "simulare la scomparsa volontaria" della collaboratrice e assicurare l'impunità degli autori materiali dell'esecuzione. Autori che inquirenti e investigatori hanno identificato in Vito e Giuseppe Cosco, ai quali Lea Garofalo è stata consegnata dagli altri due complici destinatari dell'ordinanza e indicati come i rapitori. L'accusa di omicidio è stata ipotizzata con le aggravanti della premeditazione. A dare l'allarme per prima per la sparizione della donna era stata proprio la figlia della Garofalo e di Cosco.
Il programma di protezione - Il programma di protezione a tutela di Lea Garofalo, ha spiegato il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, era stato sospeso nell'aprile del 2009 su richiesta della stessa vittima, che era voluta tornare in Calabria.
La decisione della donna di rinunciare alla scorta è stata definita una "grave imprudenza" dal gip Giuseppe Gennari, he ha emesso le ordinanze di custodia cautelare. Un'imprudenza, scrive il gip, "forse dettata dalla volontà di sistemare Denise o forse indotta da un senso di scoramento, sopraggiunto dopo che le dichiarazioni accusatorie da lei rese non avevano sortito effetto alcuno e il programma di protezione si era rivelato non in grado di soddisfare le aspettative della collaboratrice".
Gli arresti - Nella notte sono scattati arresti e perquisizioni dei carabinieri disposti dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano. La sorte della donna sembrava già segnata nel febbraio di quest'anno, tanto che il procuratore della Dda molisana, Armando D'Alterio, non escluse un epilogo tragico e affermò: "La cerchiamo, speriamo di trovarla viva". In base agli accertamenti e alle dichiarazioni di un paio di pentiti, Lea Garofalo, 35 anni (che dal febbraio del 2006 non era più sotto protezione), prima di essere assassinata e sciolta nell'acido in un terreno nell'hinterland milanese, sarebbe stata anche interrogata dai suoi esecutori.
Dei sei provvedimenti, due sono stati notificati in cella a Carlo Cosco, ex convivente della donna - dalla relazione è nata una figlia ora maggiorenne - e a Massimo Sabatino. I due erano già stati arrestati a febbraio per un precedente tentativo di sequestro, avvenuto a Campobasso nel maggio dell'anno scorso, con lo scopo di uccidere la Garofalo per vendicarsi delle dichiarazioni da lei rese agli inquirenti, a partire dal 2002, contro alcuni affiliati alle cosche della 'ndrangheta di Petilia Policastro (Crotone). Gli altri quattro destinatari del provvedimento del giudice Gennari sono i fratelli di Carlo Cosco, Giuseppe detto Smith (gli è stato contestato anche lo spaccio di stupefacenti) e Vito detto Sergio, e altre due persone, una delle quali accusata solo di distruzione di cadavere.
L'agguato - Secondo l'indagine, Carlo Cosco ha organizzato l'agguato teso a Lea Garofalo proprio mentre questa si trovava a Milano con la figlia. Proprio con il pretesto di mantenere i rapporti con la ragazza, legatissima alla madre, Cosco ha attirato la sua ex nel capoluogo lombardo. Almeno quattro giorni prima del rapimento, ha predisposto un piano, contattando i complici, assicurandosi sia il furgone dove è stata caricata a forza, sia la pistola per ammazzarla "con un colpo", sia il magazzino o il deposito dove interrogarla, e infine l'appezzamento dove si ritiene sia stata sciolta nell'acido. La distruzione del cadavere, per inquirenti e investigatori, ha avuto lo scopo di "simulare la scomparsa volontaria" della collaboratrice e assicurare l'impunità degli autori materiali dell'esecuzione. Autori che inquirenti e investigatori hanno identificato in Vito e Giuseppe Cosco, ai quali Lea Garofalo è stata consegnata dagli altri due complici destinatari dell'ordinanza e indicati come i rapitori. L'accusa di omicidio è stata ipotizzata con le aggravanti della premeditazione. A dare l'allarme per prima per la sparizione della donna era stata proprio la figlia della Garofalo e di Cosco.
Il programma di protezione - Il programma di protezione a tutela di Lea Garofalo, ha spiegato il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, era stato sospeso nell'aprile del 2009 su richiesta della stessa vittima, che era voluta tornare in Calabria.
La decisione della donna di rinunciare alla scorta è stata definita una "grave imprudenza" dal gip Giuseppe Gennari, he ha emesso le ordinanze di custodia cautelare. Un'imprudenza, scrive il gip, "forse dettata dalla volontà di sistemare Denise o forse indotta da un senso di scoramento, sopraggiunto dopo che le dichiarazioni accusatorie da lei rese non avevano sortito effetto alcuno e il programma di protezione si era rivelato non in grado di soddisfare le aspettative della collaboratrice".