Niente assistenza, poche informazioni, dai call center intasati risposte generiche. Il racconto del disagio provocato dalla nuvola di cenere nell'aeroporto turco Sabiha Gökçen
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di Filippo Maria Battaglia
“Anything problem for the fly?” L’inglese maccheronico del tassista è la conferma che anche a Istanbul il disagio provocato dalla nuvola islandese fa sentire i suoi effetti. Non per i voli nazionali ovviamente, e neppure per gli internazionali che collegano la capitale alle principali città mediterranee.
Berlino, Zurigo, Marsiglia, Milano: il problema nasce da queste tratte (e non solo da queste, ovviamente), che collegano la terra di Ataturk con le più note località continentali. E i disagi sono inevitabili, soprattutto per quanto riguarda i voli low-cost.
A Sabiha Gökcen, il secondo aeroporto di Istanbul, l’atmosfera è surreale.
Le compagnie che hanno gli uffici sono pochissime e ai turisti - superati i controlli con i metaldetector, che qui si fanno all’ingresso e non dopo il check-in - tocca ripiegare nel punto informazioni, che si limita a distribuire un biglietto scritto a mano con un numero verde, stavolta turco.
Basta poco per capire che non è una buona notizia: la voce (registrata) del call center informa in inglese che il collegamento è intasato. “Please try later” e la faccenda si chiude qui. Ore di attesa e all’ennesimo tentativo la linea è finalmente libera: “Se preferite, vi spostiamo nel volo di domani” informa la centralinista. Rimborsi per il pernottamento, per i pasti o per gli spostamenti? Se si avanza l’obiezione che la carta dei passeggeri dovrebbe consentire almeno un indennizzo minimo per il disagio, dal call center rispondono con un laconico “potete provare a chiamare il customer care”, e giù un altro numero, stavolta italiano. Neanche a dirlo: è occupato. Niente da fare.
Una notte all’aeroporto o una in un albergo a carico del passeggero? La scelta non è una scelta: conviene ripiegare nella pensione più vicina e sperare che il fumo islandese non spazzi via pure la speranza di partire domani.
Tutti i video sulla situazione del vulcano in eruzione in Islanda e le ripercussioni sui trasporti in Italia
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Berlino, Zurigo, Marsiglia, Milano: il problema nasce da queste tratte (e non solo da queste, ovviamente), che collegano la terra di Ataturk con le più note località continentali. E i disagi sono inevitabili, soprattutto per quanto riguarda i voli low-cost.
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Basta poco per capire che non è una buona notizia: la voce (registrata) del call center informa in inglese che il collegamento è intasato. “Please try later” e la faccenda si chiude qui. Ore di attesa e all’ennesimo tentativo la linea è finalmente libera: “Se preferite, vi spostiamo nel volo di domani” informa la centralinista. Rimborsi per il pernottamento, per i pasti o per gli spostamenti? Se si avanza l’obiezione che la carta dei passeggeri dovrebbe consentire almeno un indennizzo minimo per il disagio, dal call center rispondono con un laconico “potete provare a chiamare il customer care”, e giù un altro numero, stavolta italiano. Neanche a dirlo: è occupato. Niente da fare.
Una notte all’aeroporto o una in un albergo a carico del passeggero? La scelta non è una scelta: conviene ripiegare nella pensione più vicina e sperare che il fumo islandese non spazzi via pure la speranza di partire domani.
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